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Il mistero della morte di Robert Kennicott, il pioniere dello Smithsonian

La storia di Robert Kennicott, esploratore e pioniere dello Smithsonian, si concluse con un mistero: quello relativo alla sua morte. Le cause e le circostanze relative alla sua morte furono oggetto di dibattito per gli scienziati che ne discussero per anni. E solamente dopo 150 anni si ebbero delle risposte.

Vita, morte e misteri di Robert Kennicott

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Crediti foto: @Alexander Hesler, Public domain, via Wikimedia Commons

Robert Kennicott nacque a New Orleans il 13 novembre 1835. Quando era ancora un bambino, i genitori si trasferirono nelle campagne intorno Chicago. Sin da piccolo, dunque, Kennicott fu affascinato dalla natura e dalla scienza.

Seguace del dottor Jared Kirtland, naturalista e amico di famiglia, grazie a lui iniziò a collezionare campioni che inviava allo Smithsonian, all’epoca ai suoi albori. Nel 1857 offrì una ricompensa di 5 dollari a chiunque gli avesse portato un mocassino acquatico. Qualcuno glielo portò e ottenne la ricompensa. Poco dopo, però, una seconda persona si presento alla sua porta per reclamare il premio. Quando Kennicott gli fece notare che ormai era tardi, questa persona si arrabbiò parecchio e divenne aggressivo.

Così Kennicott afferrò il serpente velenoso e lo brandì contro l’aggressore, costringendolo alla fuga. Col passare del tempo Kennicott si fece notare allo Smithsonian per via del suo entusiasmo. Così Joseph Henry, segretario dell’istituto e Spencer Baird, il suo assistente, lo invitarono non solo a lavorare per loro, ma anche a vivere lì.

Così Kennicott si ritrovò a vivere prima nel cottage dello zoologo William Stimpson, poi nella sede centrale dell’istituto, un edificio gotico in arenaria rossa chiamato il Castello di Washington.

Qui Kennicott si trovò nel suo mondo: libri, la confraternita, le bevute, le danze di guerra con gli altri studenti, le serenate al chiaro di luna per le figlie dei professori, i furti al pollaio… Le burle e le buffonate di Kennicott e amici furono tali da garantirgli il soprannome di “Bestie selvagge”. Fra di loro, invece, si chiamavano il Megatherium Club, in onore del gigantesco bradipo estinto.

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Crediti foto: @AnonymousUnknown author, Public domain, via Wikimedia Commons

Ma Kennicott non era solo uno studente brillante e goliardico, era anche assai apprezzato dai colleghi e dai docenti. Così Bairs nel 1859 gli chiese di guidare una spedizione triennale in Canada e Alaska per studiare la flora e fauna locale, inviando anche campioni all’istituto.

Effettivamente Kennicott si diede da fare: tornò con 282 uccelli, 230 mammiferi e 151 pesci. Praticamente alla fine tutti i dipartimenti dello Smithsonian ebbero almeno un esemplare portato da Kennicott.

Visto il successo di questa prima missione, Baird gli chiese di guidarne un’altra nel 1865. La Western Union Telegraph doveva mappare l’Alaska in modo da creare una nuova rotta telegrafica. Ovviamente Kennicott accettò, anche perché poteva unire l’utile al dilettevole: avrebbe mappato il territorio e contemporaneamente raccolto esemplari e campioni.

Tuttavia questa volta un presentimento offuscava i pensieri di Kennicott. In una lettera inviata a Baird parlava della sua potenziale morte, sostenendo che se gli fosse capitato qualcosa qualche malintenzionato avrebbe potuto produrre false dichiarazioni in modo da far sembrare che lui non stesse facendo il suo dovere nei confronti della Compagnia. E specificò che alcuni dei subalterni del Colonnello Bulckley erano gelosi di lui.

Questo discorso era insolito per un ventinovenne. Tuttavia era vero che di recente Kennicott aveva avuto diversi problemi di salute, svenendo due volte. Nonostante tutto, però, Kennicott partì.

Questa volta la missione non iniziò proprio benissimo. Le condizioni meteo furono terribili, con temperature bassissime. Inoltre i suoi collaboratori notarono che divenne sempre più cupo, soprattutto per la mancanza di progressi. Anzi, c’è chi dice che una volta cercò a tentoni la pistola di un collega, salvo poi restituirla quando gliela richiesero indietro.

Arriviamo così al 13 maggio 1866. Kennicott scomparve nel nulla mentre il resto del team faceva colazione. Passarono le ore e i collaboratori iniziarono a preoccuparsi. Così organizzarono una squadra di ricerca, ritrovandolo morto vicino all’acqua. Kennicott era morto a soli 30 anni.

Il collega William Dall raccontò poi che sulla spiaggia trovarono la bussola tascabile con delle linee che indicavano la direzione delle montagne in vista. Le linee erano tracciate sul materiale alluvionale, il che indica che Kennicott era impegnato nel suo lavoro quando morì.

I resti giacevano come era caduto, non c’erano segni di lotta o alcuna emozione sul suo viso. La morte era stata rapida e indolore. Lo avevano trovato supino, con le braccia incrociate sul petto. Gli occhi erano semichiusi e il viso calmo.

Inoltre il suo corpo era asciutto, quindi non poteva essere annegato. Ma non c’erano neanche segni evidenti di ferite. L’unica cosa strana era che la stricnina che portava sempre in tasca non c’era più. E aveva un po’ di schiuma alla bocca. Così i suoi colleghi decisero che l’unisca spiegazione possibile, visto il veleno e il suo carattere cupo, era che si fosse avvelenato.

Essendo morto in una zona così remota, il suo corpo tornò alla famiglia solamente nel 1867. Tutti pensavano che si fosse ucciso, così la famiglia decise di seppellirlo in una bara di ghisa a chiusura ermetica. Cosa che ne preservò il corpo.

E fu un bene perché alla fine degli anni Novanta, Steve Swanson, curatore del Grove, la casa di famiglia di Kennicott, propose agli antropologi forensi dello Smithsonian di riesumarne il corpo per accertare le cause della morte. Questo perché Swanson non aveva mai accettato la tesi del suicidio.

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Crediti foto: @Alexander Hesler, CC0, via Wikimedia Commons

Gli antropologi accettarono, ma la bara, a causa di alcuni impedimenti logistici, fu aperta solamente nel 2001. Il corpo appariva ben conservato. Gli esami dimostrarono la presenza di stricnina, mercurio, arsenico e piombo. Solo che i loro livelli non erano tali da causare un avvelenamento letale. Considerate anche che all’epoca stricnina e mercurio erano usati come medicine.

Kennicott era solito assumerli contro il mal di testa e lo stress. Inoltre il corpo non presentava gli spasmi muscolari tipici dell’avvelenamento da stricnina. Secondo gli antropologi Kennicott era morto per un arresto cardiaco dovuto alla sindrome del QT lungo, un disturbo che causa alterazioni del ritmo cardiaco. Il che spiegava anche i suoi continui svenimenti. La stricnina, poi, potrebbe aver aggravato il problema.

Unite il tutto allo stress del viaggio improduttivo ed ecco spiegato perché morì. A questo punto, caso chiuso, bara chiusa, Kennicott poteva tornare al Grove. Tuttavia gli antropologi chiesero a Swanson di far rimanere i resti allo Smithsonian e Swanson e gli eredi di Kennicott accettarono: quella fu la sua vera casa in fin dei conti.