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Lago degli Scheletri resti ignoti congelati sulle vette dell'Himalaya

Il “Lago degli Scheletri”, resti ignoti congelati sulle vette dell’Himalaya

Immaginate una località segregata dalle alte e maestose vette dell’Himalaya, coperta da neve e ghiaccio per 11 mesi l’anno, nella quale giacciono da più secoli i resti ossei di circa 300 persone ignote. Un posto dall’anima ambivalente: tetro e curioso, isolato e allo stesso tempo sempre più vittima di un turismo barbaro, rastrellatore oserei dire. Questo, signore e signori, è il Roop Kund lake, ultimamente conosciuto come “Lago degli Scheletri“.

Tanti sono i misteri che questo lago glaciale situato nell’estremo settentrionale indiano nasconde ancora oggi. Arcani sui quali i ricercatori lavorano seriamente dai primi anni ’50 del XX secolo. A dir la verità, qualcosina si è scoperto (soprattutto negli ultimi tempi) e su queste novità vorremmo soffermarci. Impossibile addentrarsi nella tematica senza menzionare il regolare corso naturale di questo luogo incantevole. Un grembo celato del massiccio del Trishul (nello stato indiano dell’Uttarakhand) ad una latitudine di circa 5.020 metri.

Comunemente ci si riferisce al Roop Kund come “lago”, in realtà la profondità massima di 3 metri e la sua estensione maggiore di nemmeno mezzo chilometro lo rendono un modesto specchio d’acqua. Eppure una volta l’anno, allo scioglimento del ghiaccio, il laghetto mette a nudo degli enigmatici scheletri umani, unici abitanti dell’area da molto, moltissimo tempo. Perché? Come ci sono finiti lì e, in particolar modo, quando?

Andando oltre il dato leggendario, che pure nasconde un fondo di verità (una spedizione reale colpita da una devastante e micidiale grandinata), le prime indagini condotte da esperti indiani a partire dal 1950 hanno tracciato una strada rivelatrice che conviene seguire. Esse ci dicono due cose fondamentali: 1) Sulle ossa esistono fonti scritte dal IX secolo. 2) Quella del 1942, ad opera degli inglesi, non è stata una scoperta, bensì una riscoperta. Addirittura i britannici, osservando quelle carcasse scheletriche, pensarono ad un tentativo d’assalto giapponese finito male. Facile pensarlo, viste le scorribande nipponiche durante quegli anni.

I ricercatori del “The Anthropological Survey of India” stabilirono negli anni ’50 come gran parte degli individui nel lago fossero venuti a mancare a causa di gravi traumi cranici. Il ricordo di quella leggendaria grandinata entrò a gamba tesa nell’immaginario comune. Intervenuta l’Università di Oxford nella vicenda, sono emersi nuovi dati. L’analisi al radiocarbonio ha datato i resti intorno alla metà del IX secolo. Tuttavia recenti confronti dovuti all’analisi del genoma hanno rivelato come i resti ossei appartengano a epoche diverse e distanti tra loro. Sì, alcuni morirono nel “Lago degli Scheletri” intorno all’850, altri però ci rimisero le penne un millennio dopo, nel 1800 circa. Il primo e più antico gruppo proveniva dall’Asia meridionale, mentre il secondo corpo preso in esame era rappresentato da individui originari tanto dell’area mediterranea quanto del Sudest asiatico.

Inoltre il primo gruppo si sarebbe “sedimentato” nel corso di più anni. Il secondo, al contrario, vide materializzarsi la tragica fatalità a seguito di un unico evento (grandinata violenta; leggenda e realtà storica spesso sono due facce mistificate della stessa medaglia). Tuttavia, mentre alcuni aspetti permangono sconosciuti – come l’identità di quelle persone e i motivi che li hanno spinti in un lembo disabitato per chilometri e chilometri – schiere di turisti irrispettosi rubano e danneggiano un simile patrimonio storico e archeologico. Una mancanza di dignità che forse, e dico forse, porterà ad una progressiva assenza di prove tangibili su un passato ancora tutto da scoprire. Tristemente, la priorità ora non è lo studio del “Lago degli Scheletri”, ma la sua conservazione…