Forse fu la rabbia per il fatto che Ercole riuscisse a portare a termine una fatica dopo l’altra che fece entrare in loop il cervello di re Euristeo. Altrimenti non si spiega questa deriva zoologica: dopo il leone, l’idra e il cervo, anche la quarta delle dodici Fatiche di Ercole fu a tema zoologico. Dovette infatti acchiappare il Cinghiale di Erimanto.
Come Ercole catturò il Cinghiale di Erimanto (e indispettì i centauri)

Inutile dire che dopo che re Euristeo si fece sfuggire dalle mani la Cerva di Cerinea appena catturata da Ercole (dopo un anno di corse), il sovrano non era dell’umore migliore. Sprofondando per l’imbarazzo, visto che la folla non gli credette quando tentò di riparare alla sua gaffe sostenendo che Ercole avesse barato di nuovo (già con l’Idra di Lerna re Euristeo si era giocato la carta dell’imbroglio, imponendo così a Ercole di dover recuperare una fatica), ecco che si trovò nelle circostanze di dover studiare una nuova prova.
Se con la prima prova aveva testato la forza di Ercole (uccidere il Leone di Nemea non fu proprio una passeggiata), se con la seconda aveva testato l’ingegno dell’eroe (uccidere l’Idra di Lerna, con le sue teste che ricrescevano una volta tagliate e che sputavano veleno fu una vera e propria impresa) e se con la terza aveva saggiato la sua velocità (Ercole prese per sfinimento la Cerva di Cerinea), ecco che dovette spremersi le meningi per escogitare la quarta prova.
Pensa e ripensa, così re Euristeo arrivò a una decisione: Ercole doveva catturare e consegnargli vivo il Cinghiale di Erimanto. Questi stava causando non pochi problemi agli abitanti di Psofide, nel Peloponneso. Praticamente era la versione 2.0 della fatica precedente:. Si trattava di nuovo di una prova di ingegno e velocità, ma con il malus relativo al fatto che, questa volta, l’animale in questione avrebbe contrattaccato. E tutti sappiamo quanto possano essere temibili i cinghiali infuriati.
Tecnicamente parlando, il Cinghiale di Erimanto non era nulla di più di quello che diceva il nome: un semplice cinghiale comune che viveva intorno al Monte Erimanto. Non era un mostro mitologico, non era figlio di divinità o mostri vari e non era neanche stato creato dagli dei dell’Olimpo. Non era neanche un essere umano tramutato per qualche capriccio divino in animale (pratica assai consueta nella mitologia greca).
Era un cinghiale normale. Certo, solamente solo oversize: era gigantesco e aggressivo, con la pelle spessa e zanne tali da riuscire a perforare le armature. Anche se non aveva alcun potere sovrannaturale, era così aggressivo che si dilettava a scendere a valle distruggendo le fattorie e i campi, aggredendo anche le persone.
Ercole ebbe qualche problemino con questa prova. Con la Cerva di Cerinea gli era andata abbastanza bene: certo, godeva della protezione divina, ma l’eroe riusciva sempre a individuarla grazie alle sue corna dorate che luccicavano. Il cinghiale, invece, si mimetizzava bene nella natura e quando si nascondeva nessuno riusciva a trovarlo. Inoltre, quando Ercole lo scovava, non fuggiva via come la cerva: attaccava Ercole. E quest’ultimo doveva riuscire a catturarlo vivo, cosa non facilissima.
Prima di recarsi dal cinghiale, Ercole andò sul Monte Pelio, in Tessaglia. Qui viveva il centauro Folo, amico dell’eroe. Rispetto agli altri centauri (Chirone escluso), molto più selvaggi, Folo era più civilizzato. Questo forse perché era figlio del satiro Sileno, dio minore del vino e insegnanti di Dioniso e della ninfa del frassino Melia.

Folo accolse Ercole con un banchetto e l’eroe colse l’occasione per chiedere all’amico consiglio su come catturare vivo il Cinghiale di Erimanto. Il consiglio di Folo era quello di spingere l’animale verso le cime innevate del Monte Erimanto, in modo da sfinirlo e intrappolarlo nella neve.
Prima di partire per la cattura, Ercole decise di festeggiare bevendo da una giara di vino che aveva visto sul fondo della grotta di Folo. Quello che Ercole non sapeva è che quel vino era un dono speciale di Dioniso non solo a Folo, ma a tutti i centauri del Monte Pelio.
Folo sapeva che se avesse offerto quel vino a Ercole, sarebbero arrivati in massa anche gli altri centauri, attirati dal profumo della bevanda. E i centauri tendevano a diventare imprevedibili in presenza del vino. Folo avvisò Ercole del pericolo, ma quest’ultimo lo convinse a versargliene un bicchiere.
Prevedibilmente i centauri, guidati dal loro leader Nesso, si precipitarono alla grotta alla ricerca del vino. Ma arrivati trovarono un Ercole leggermente ubriaco che scambiò il loro avvicinarsi chiassoso per un attacco. I centauri, del tutto fuori controllo, non fecero nulla per spiegare il fraintendimento. Anzi: lanciarono pietre a Ercole, attaccandolo anche con rami d’albero.
Così la rabbia che covava in Ercole unita all’ebbrezza causata dal vino ebbero la meglio ed Ercole attaccò i centauri con la sua clava. Poi, dopo averli messi in fuga, prese l’arco e iniziò a bersagliarli con le frecce intrise del mortale veleno dell’idra. Ercole uccise molti centauri.
Folo, non sapendo che le frecce erano avvelenate, ne prese una per esaminarla e, inavvertitamente, si ferì uno zoccolo con una di esse. Tornato nella grotta Ercole trovò anche il suo amico morto. Disperato, urlò il suo dolore e poi lo seppellì con tutti gli onori.
Nel frattempo alcuni centauri erano scampati al massacro. E fra questi Nesso. Quest’ultimo non dimenticò mai l’onta subita e meditò vendetta per anni. Ed effettivamente in futuro, proprio in un momento in cui Ercole sembrava aver trovato la pace e la felicità, ecco che Nesso avrebbe messo in atto la sua vendetta, causando la caduta di Ercole. Ma questa è un’altra storia.
Torniamo al cinghiale. Dopo aver seppellito Folo, Ercole decise di mettere in atto la strategia del centauro. Che si rivelò perfetta: il cinghiale, bloccato nella neve, non riuscì più a fuggire, dando così il tempo a Ercole di legarlo con pesanti catene di metallo. L’eroe, come da prassi ormai, se lo mise sulle spalle e lo portò a Tirinto. Non senza qualche problemino visto che il cinghiale, non contento di ammirare il mondo dall’alto delle spalle di Ercole, continuò a divincolarsi per tutto il tempo, ferendo la schiena dell’eroe.

Arrivato fuori dalle porte di Tirinto, re Euristeo si spaventò alla vista dell’animale e si nascose all’interno della grande giara che doveva contenere, per suo stesso ordine, i premi che Ercole gli avesse portato. Così Ercole, con annesso cinghiale ancora sulle spalle, si sporse sull’imboccatura della giara chiedendo al tremante re cosa ne dovesse fare l’animale. Euristeo era pietrificato: un sogghignante Ercole e un ingrugnito cinghiale lo stavano fissando dall’alto della giara.
Così Euristeo ordinò a Ercole di lasciar andare l’animale. Pare che il cinghiale, stufo della faccenda, abbia attraversato il mare a ovest, arrivando in Italia: giunto qui decise di trascorrervi il resto dei suoi giorni.
Poi Ercole sbirciò nuovamente nella giara in attesa che il tremante Euristeo gli desse indicazioni per la sua quinta fatica: pulire le stalle di Augia in un solo giorno. Ma anche questa è un’altra storia.