Pedro Sarmiento de Gamboa, vissuto sessant’anni dal 1530 al 1590, oltre ad essere stato un avventuroso esploratore spagnolo, fu un ecclettico uomo di scienza, uno dei pochi europei a trattare con dignità i racconti – leggendari o reali che fossero – custoditi e tramandati dagli Indios delle Americhe. Uno di questi aveva però dello straordinario, poiché narrava di una spedizione oceanica condotta da un principe Inca verso ovest, perciò fra le impenetrabili acque del Pacifico. Il presunto viaggio oceanico è uno degli episodi più affascinanti e controversi legati alla storia precolombiana del Sud America. Perché non dargli un’occhiata assieme?

Nel corso del XV secolo le Ande furono il teatro di sanguinose guerre, ribellioni e lotte dinastiche per accaparrarsi il potere. Ecco, in una simile situazione, gli Inca si cimentarono in una progressiva opera di unificazione delle genti che abitavano il confine tra le odierne nazioni di Ecuador e Cile. Promotore assoluto di questo progetto imperiale fu Pachacútec, considerato dalla storiografia il fondatore dell’Impero degli Inca. Tra le mille preoccupazioni che un sovrano come Pachacútec poteva avere, di primaria importanza era la questione dinastica.
Per mantenere il controllo sui territori dell’America meridionale, forgiati sotto un unico dominio, serviva un uomo forte e carismatico, dotato di pragmatismo ed intelletto. La scelta alla fine ricadde sul figlio Túpac Yupanqui (nato intorno alla metà del XV secolo, morto nel 1493). Il più piccolo fra i maschi, abilissimo condottiero, mosso da uno spirito di conquista equiparabile a quello del genitore. Nel concreto, padre e figlio si spartirono le responsabilità di governo. Pachacútec continuò con la sua linea di politica interna, mentre Túpac Yupanqui ereditava il comando militare, avendo per obiettivo il prosieguo della campagna espansionistica.

Quest’ultima procedette inizialmente verso nord, con l’ambizione di sottomettere i Chimù, la cultura allora più avanzata dell’America precolombiana. Giunto a Quito, optò per una discesa, attraversando la foresta andina fino a Tumbes (oggi estremo settentrionale del Perù), dove sbarcò Pizarro qualche decennio più tardi, nel 1528.
A Tumbes il principe Inca incontrò dei viandanti provenienti, a loro detta, dal mare. I forestieri sostenevano di provenire dalle isole di Avachumbi e Ninachumbi – così chiamate dai cronisti spagnoli che riportano la storia, ovvero il già citato Sarmiento de Gamboa e Miguel Cabello de Balboa – situate nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ricche d’oro, rigogliose per natura, attrattive per chiunque avesse un minimo di spirito d’avventura, l’esistenza delle due isole fece radicalmente cambiare i piani a Túpac Yupanqui, in quel momento deciso come non mai a prendere la via del mare.
Dopo aver consultato un oracolo, il futuro Sapa Inca (imperatore degli Inca) ordinò la costruzione di una flotta di balse. Armate le zattere a vela molto simili a catamarani, le imbarcò con circa 20.000 uomini. Presero parte alla spedizione i più valorosi comandanti al seguito del principe, nonché i suoi più fedeli consiglieri. Il viaggio, per quanto lungo e faticoso, ebbe esito più che positivo. Gli oltre 20.000 Inca misero piede sulle isole di cui avevano sentito parlare e razziarono ciò che poterono: schiavi dalla pelle nera, oro, pellame e addirittura una mascella equina.

Soprattutto quest’ultimo pezzo del bottino ha una storia super interessante, alla quale magari dedicherò un articolo d’approfondimento. Per ora venga qui detto che l’osso appariva agli Inca come un manufatto di estrema importanza (praticamente extraterrestre) poiché di esemplari equini nell’America precolombiana non ve ne era traccia. La mascella fu poi rinvenuta dagli spagnoli a Cuzco. Immaginate per un attimo la loro sorpresa nel vederla lì, in un mondo dove i cavalli non esistevano proprio…
Dopo aver preso contatto con gli indigeni e aver esplorato i dintorni, la flotta di Túpac Yupanqui tornò indietro. Essa toccò le coste andine circa dieci mesi dopo averle lasciate. Il racconto dell’epica spedizione fu esposto per la primissima volta da Urco Huaranca, a guardia dei reperti del palazzo imperiale. Dalle sue parole i cronisti spagnoli ricavarono i dettagli della vicenda, diffondendola in Europa.

Tutto molto bello, tutto molto affascinante. Ma ‘ste isole dove si trovano? A patto che esistano davvero, diverse sono le ipotesi circa la loro ubicazione. Secondo gli storici che sostengono la veridicità del viaggio, le isole più accreditate sarebbero le Galapagos, le Juan Fernandez o, per una minoranza, addirittura l’isola di Pasqua. Poi ci sono le supposizioni più estreme, che vedono gli Inca navigare fra gli atolli dell’odierna Polinesia francese. Fantasie tutt’al più, ma di una certa attrattiva, non c’è dubbio.
Le prove materiali a sostegno di questo racconto si riducono al lumicino e giocano molto sull’incrocio forzoso di indizi altrimenti sconnessi. Ecco perché ad oggi è bene relegare la spedizione di Túpac Yupanqui, Sapa Inca dal 1471 al 1493, nella leggendaria sfera delle esplorazioni improbabili.