Fotografia di anonimo, Sahara Occidentale, novembre 1975. Una massa di persone, la maggioranza delle quali munita di bandiera marocchina, sorpassa la frontiera con il Sahara spagnolo, in nome della Marcia Verde. L’episodio rappresenta uno dei punti più divisivi ed emblematici della spinosa questione del Sahara Occidentale. Le tante fotografie che vennero scattate in quei giorni di novembre di metà anni ’70 lo testimoniano in modo vivido.

Le persone che avanzano su un territorio sabbioso, le bandiere rosse della nazione marocchina che sventolano mosse dal vento atlantico, i cori a sostegno di una causa – quella del presunta legittimità della sovranità di Rabat sull’ex colonia spagnola – e contrarie ad un’altra di causa – sul diritto del popolo Sahrawi di costituirsi in uno Stato organizzato e in una nazione riconosciuta. Questo si evince dagli scatti storicamente suggestivi della Marcia Verde, evento che vorrei meglio inquadrare in questa sede.
Negli anni ’70, la Spagna franchista si trovava in una fase di profonda crisi interna. Francisco Franco era ormai in fin di vita, e il regime cercava di gestire con cautela la decolonizzazione dei suoi ultimi possedimenti africani. Dopo aver concesso l’indipendenza alla Guinea Equatoriale nel 1968, Madrid era consapevole che il mantenimento del Sahara Occidentale fosse ormai insostenibile. Sia sul piano politico, sia su quello militare. Lo schema si è ripetuto come suo solito anche in questo angolo di mondo. Quando l’autorità egemone (sorta con l’imposizione della forza colonialista) smonta le tende, i movimenti fino ad allora sottaciuti riemergono, avvalendosi delle medesime logiche di potere della potenza uscente.

Accadde dunque che la popolazione autoctona, i sahrawi, manifestarono il desiderio di un proprio Stato indipendente. Desiderio di cui si fece carico il movimento del Fronte Polisario, sorto nel 1973 con l’appoggio dell’Algeria. Quest’ultima non lo fece perché mossa da chissà quale spirito altruistico, ma perché spinta da precise intenzioni geopolitiche, volte all’indebolimento del Marocco suo rivale.
Nel frattempo, sia il Marocco che la Mauritania rivendicavano la sovranità sul territorio, sostenendo che esso fosse storicamente parte integrante dei loro domini tradizionali. In particolare, il re marocchino Hassan II basava la propria pretesa su antichi legami di fedeltà tribale tra alcune popolazioni nomadi sahrawi e il Sultanato marocchino.
Per risolvere la controversia, il Marocco si appellò alla Corte Internazionale di Giustizia (CIG), che il 16 ottobre 1975 emise un parere destinato a segnare la storia del conflitto. La Corte riconobbe effettivamente l’esistenza di alcuni legami di tipo giuridico e religioso tra certe tribù saharawi e il sultano del Marocco. Nonostante ciò, stabilì anche, in modo inequivocabile, che non esistevano vincoli di sovranità territoriale tra il Sahara Occidentale e il Marocco (né con la Mauritania). Al contrario, affermò il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, che avrebbe dovuto essere libero di decidere il proprio destino politico.

Il verdetto della CIG costituì un duro colpo per le ambizioni marocchine, ma Hassan II seppe abilmente trasformarlo in un’occasione politica. Poche ore dopo la pubblicazione del parere, il sovrano annunciò la “Marcia Verde”. Doveva trattarsi di una mobilitazione pacifica, composta da circa 350.000 civili disarmati, che avrebbero dovuto attraversare il confine e “ricongiungere” il Sahara spagnolo al Marocco. Il governo marocchino pianificò accuratamente la marcia, simbolicamente “verde” in omaggio al colore dell’Islam. Ne fece per l’appunto un poderoso strumento di propaganda patriottica e religiosa.
Il 6 novembre 1975, al segnale del re, la moltitudine di partecipanti avanzò verso il territorio sahariano portando bandiere marocchine, copie del Corano e ritratti di Hassan II. Le forze armate spagnole, su ordine diretto di Madrid, non aprirono il fuoco per evitare uno spargimento di sangue, limitandosi a ritirarsi progressivamente.

I civili strategicamente aizzati dalla monarchia marocchina non furono gli unici a muovere in direzione sud. Segretamente li avevano preceduti i militari, il 31 ottobre. Contingenti armati avevano occupato le città di Farsia, Haousa e Idiriya, sotto tacito accordo con gli spagnoli. Il regime, ancora per poco franchista, aveva ordinato lo sgombero degli abitanti delle tre cittadine.
Così, nel tentativo di evitare un’escalation militare e mantenere almeno una parte dei propri interessi economici nel territorio, il governo spagnolo avviò trattative segrete con Rabat e Nouakchott. Vero è che si esclusero completamente i rappresentanti del popolo sahrawi. Il risultato fu la firma degli Accordi di Madrid del 14 novembre 1975. Con essi la Spagna accettò di cedere l’amministrazione del Sahara Occidentale al Marocco (nella parte settentrionale) e alla Mauritania (in quella meridionale).

Gli Accordi di Madrid non furono riconosciuti né dall’ONU (risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite numero 377, 379 e 380), né dal Fronte Polisario. Quest’ultimo li considerò una violazione del diritto all’autodeterminazione sancito dalla Corte Internazionale di Giustizia. A testimonianza della grave discordanza interna allo Stato spagnolo, prossima alla ridefinizione in senso democratico, le Cortes (il parlamento) emanarono una legge (la legge sulla decolonizzazione del Sahara) in totale conflitto con le clausole dell’intesa madrilena.
La guerra sarebbe scoppiata di lì a poco e sarebbe durata fino al 1991. Magari questo sarà spunto per un prossimo approfondimento. Per chiosare sulla Marcia Verde, possiamo ribadire il seguente concetto: pur presentandosi come un atto simbolico di “riunificazione nazionale”, ebbe in realtà il valore di una mossa geopolitica calcolata per legittimare un’occupazione territoriale. Essa segnò la fine definitiva della presenza coloniale spagnola in Africa, ma aprì una nuova fase di conflitto regionale e di instabilità diplomatica che perdura tutt’oggi.




