Fotografia di Jean-Jacques Kurz, Libano, anni ’70 del XX secolo. Una casa distrutta da quella che passerà alla storia come la strage di Damour. Tutto ciò che resta sono delle macerie e delle ampie vetrate distrutte da cui ammirare un tristo paesaggio immerso nella uggiosità di una giornata di guerra. La foto diverrà subito un simbolo, un simbolo nefasto dell’ennesimo scempio causato dall’uomo.

Per capire al meglio l’importanza e la profondità dello scatto odierno partiamo, come al solito, dal contesto. Le linee dello stesso sono ben definite e accerchiano un evento noto come guerra civile del Libano. Combattuta fra il 1975 e il 1990, quella in Libano fu una guerra civile poliedrica e profondamente mutevole. I cambi di alleanze non si contano, i feriti e i morti, purtroppo, nemmeno.
Lo scoppio del conflitto si può far risalire ad un topos ricorrente: i contrasti religiosi. Ma questi non bastano a spiegare 15 anni di guerra. Allora ne aggiungiamo un altro: le ingerenze dei vicini, sempre troppo ficcanaso. La Siria, da un lato, voleva aumentare la sua influenza nella regione, Israele, dall’altro, dava la caccia ai combattenti dell’OLP, legati a doppio filo con la terra libanese.

Proprio l’OLP, a metà degli anni ’70, appoggiava il al-Ḥaraka al-Waṭaniyya al-Lubnāniyya, ovvero il Movimento Nazionale Libanese. I due movimenti, insieme, il 20 gennaio del 1976, perpetrarono il massacro di Damour. Perché questa città? Perché era quella a maggioranza cristiana e si rispondeva ad un altro massacro, quello di Karantina. Qui fu la Falange Libanese, fazione opposta, a fare strage di innocenti.
Damour era inoltre città-roccaforte del Partito Liberale Libanese, altro valido motivo, agli occhi degli attaccanti, per compiere un massacro. Molti, per fortuna, trovarono rifugio nella vicina Beirut, via mare. Diverse centinaia però furono ugualmente le vittime, che morirono da civili inermi di fronte ad uno scontro violentissimo.

Lo scatto di oggi testimonia tutte queste crudeltà attraverso l’immagine di una casa abbandonata, pare in tempo, alla distruzione più totale. Quelle finestre si affacciavano, cariche di speranza, verso un orizzonte di pace. Pace che arriverà però, come sopra accennato, solo nel 1990, dopo diversi altri anni di morte, devastazioni e nefandezze.