Fotografia di William J. Parker, Oceano Atlantico, aprile o maggio 1912. Nella foto, attribuita a William J. Parker, un carpentiere a bordo del vascello di salvataggio CS Minia, potete vedere i marinai dell’imbarcazione intenti a recuperare e imbalsamare i naufraghi vittime dell’affondamento del Titanic. Perché la storia del Titanic non finisce col suo affondamento. Settimane dopo l’affondamento, i resti delle vittime riemersero anche a centinaia di miglia di distanza.
Il destino delle vittime e dei naufraghi del Titanic

Sappiamo tutti che il Titanic affondò nella notte fra il 14 e il 15 aprile 1912. Nella tragedia, circa 1.500 uomini, donne e bambini persero la vita. Quando si racconta la storia del Titanic, ci si ferma sempre all’affondamento. Ma in realtà questo disastro navale andò avanti oltre quella fatidica data.
Perché non tutte queste vittime morirono a bordo della nave. Centinaia di passeggeri e membri dell’equipaggio, infatti, erano riusciti ad abbandonare la nave sulle scialuppe o gettandosi in mare prima che la nave si spezzasse e finisse sul fondo dell’Oceano Atlantico.
Solo che nessuno pensa mai a cosa ne fu di costoro. Ebbene, questi naufraghi galleggiarono in mare grazie ai loro giubbotti di salvataggio riempiti di sughero fino a quando il gelo dell’acqua non li privò del loro calore corporeo e della vita. Certo, in molti casi la causa della morte fu indicata ufficialmente come annegamento. Ma in realtà la maggior parte di costoro morirono per ipotermia.
Inoltre nei giorni e nelle settimane successive i cadaveri di queste vittime si sparpagliarono su un’ampia area, trascinati dalle correnti. Considerate che trovarono alcuni corpi anche dopo un mese, in posti inaspettati. Ma molti corpi ancora ad oggi non si sa dove siano finiti. Considerate che di quelle 1.500 vittime, i soccorritori riuscirono a recuperare solamente 337 corpi. Le altre 1.200 vittime risultano ancora adesso disperse.
Oltre alle persone cadute in mare, ci furono anche quelle fuggite sulle scialuppe. Sappiamo che il Carpathia, il piroscafo che si diresse subito verso il luogo del disastro, riuscì a raccogliere a bordo poco più di 700 sopravvissuti dalle scialuppe di salvataggio del Titanic.
Essendo sovraccarico, il Carpathia andò dritto a New York City, non preoccupandosi di recuperare i corpi dei morti. I sopravvissuti raccontarono poi quei momenti terribili, quando sentirono le grida e i richiami di aiuto dei loro compagni di viaggio finiti in acqua spegnersi gradualmente man mano che soccombevano al freddo.
Fra l’altro negli adulti la morte per ipotermia non è un processo rapido. Spesso ci vanno anche 40 minuti prima di morire, con tanto di tremori, contrazioni muscolari, confusione mentale e insufficienza multiorgano.
Furono altre navi a doversi occupare del recupero dei corpi. La White Star Line, proprietaria del Titanic, prese a noleggio il Mackay-Bennett, un piroscafo normalmente usato per riparare i cavi telegrafici transatlantici. Stipò il piroscafo di bare di legno e tonnellate di ghiaccio, salpando poi da Halifax il 17 aprile.

Un membro dell’equipaggio del piroscafo spiegò che la nave, durante il secondo giorno di ricerche, si imbatté in un gruppo di 100 cadaveri. Sulle prime i marinai fecero fatica a credere che quelli fossero essere umani: sembravano dei nuotatori addormentati. Alcuni di questi avevano gli occhi chiusi, altri avevano gli occhi spalancati, fissi dinanzi a sé.
Il piroscafo tornò in porto il 30 aprile, portando con sé 190 cadaveri, mentre 116 ne aveva seppelliti in mare. Sulla sua scia partirono anche la Minia e la Montmagny, trovando altri 21 corpi.
La foto in apertura si riferisce proprio al recupero del corpo di una vittima del Titanic da parte del Minia. I marinai si stanno occupando di deporre il corpo in una delle bare imbarcate, dopo averlo imbalsamato (si possono vedere le attrezzature necessarie vicino al corpo, con l’imbalsamatore che regge i tubi). Le bare non erano elaborate, ma molto semplici in quanto si trattava di bare di fortuna allestite in fretta e furia per far fronte all’emergenza.
Successivamente, altre navi di passaggio in zona riferirono di aver avvistato dei corpi, ma non provarono a recuperarli. Anche il transatlantico Bremen, arrivato a New York il 24 aprile, incappò in una distesa di rottami, detriti di legno e sedie a sdraio in mezzo ai quali galleggiavano oggetti neri che si rivelarono poi essere i corpi delle vittime.
La maggior parte di questi indossava i giubbotti di salvataggio. Un corpo era legato a una porta, mentre altri due a sedie a sdraio. Secondo il capitano i suoi ufficiali avvistarono circa 100 corpi. Tuttavia non ne poterono recuperare nessuno perché a bordo non avevano bare e sapevano che la Mackay-Bennett stava andando a recuperarli.
Il 13 maggio, circa un mese dopo l’affondamento, il transatlantico Oceanic, sempre della White Star, si imbatté in una scialuppa di salvataggio del Titanic. Considerate che si trovavano a circa 200 miglia di distanza dal relitto. I passeggeri sopravvissuti della scialuppa erano stati caricati a bordo del Carpathia e la scialuppa era poi stata lasciata alla deriva con tre cadaveri. La stampa dell’epoca ci marciò sopra, sostenendo che i tre fossero stati abbandonati vivi e che poi fossero morti di fame dopo essersi mangiati i giubbotti di salvataggio. Tuttavia smentirono presto tale teoria. Fu l’Oceanic a issare a bordo la scialuppa, portandola a New York.
Il 26 maggio l’Algerine, una nave da caccia alle foche, comunicò via radio di aver trovato e recuperato il corpo di James McGrady, un cameriere del saloon del Titanic. Questo fu l’ultimo corpo a essere riportato a terra.
Tuttavia il 6 giugno, la petroliera Ottawa ritrovò il corpo di William Thomas Kerley, vice steward. Il cadavere stava galleggiando a 870 chilometri di distanza dal luogo del relitto. L’8 giugno, poi, la nave cargo Ilford avvistò William Frederick Cheverton, un altro steward. Tuttavia seppellirono i due corpi in mare.

Ma non è finita qui. Per quanto riguarda i corpi riportati a terra, quando le navi tornarono in porto ad Halifax, ecco che trasportarono i corpi su carri funebri trainati da cavalli fino alla ghiacciaia di un club di curling. In pratica dovettero trasformare la ghiacciaia in un obitorio improvvisato.
Qui le autorità disposero i corpi in modo da permettere ai parenti di identificarli e reclamarli. Almeno 50 le vittime non identificate, ma sulle loro lapidi lasciarono uno spazio per i nomi, nel caso qualcuno primo o poi li avesse identificati.
59 corpi furono mandati a casa per la sepoltura, mentre 150 dovettero essere seppelliti ad Halifax, smistati in tre cimiteri. L’ultimo corpo a essere seppellito ad Halifax fu quello di McGrady, due mesi dopo il disastro.




