Fotografia di lindsaybridge (da Flickr), Tacloban City, Visayas Orientali, Filippine, 25 giugno 1984. Nella foto possiamo vedere il traghetto passeggeri Doña Paz nel 1984, ancorato nel porto di Tacloban City, tre anni prima del disastro che ne causò il naufragio e che è ricordato come il “Titanic asiatico”.
Il naufragio del Doña Paz

Il Doña Paz era un traghetto costruito nel 1963 da Onomichi Zosen, nella prefettura di Hiroshima, in Giappone. Il suo nome originario era Himeyuri Maru. All’epoca aveva una capacità di 608 passeggeri. Nel 1975, però, lo vendettero alla Sulpicio Lines, operatore filippino che aveva una flotta di traghetti passeggeri.
Ribattezzato Don Sulpicio, entrò in servizio nella tratta Manila – Cebu. Solo che nel 1979 un incendio distrusse la nave. Tutte le 1.164 persone a bordo di salvarono, solo che la nave venne arenata. Poi il relitto venne riparato e modificato, tornando in servizio col nome di Doña Paz.
Tuttavia spostarono il traghetto sulla rotta Manila – Tacloban, con viaggi due volte a settimana. Arriviamo così al 20 dicembre 1987. Alle ore 6:30, come sempre, il Doña Paz partì d Tacloban per tornare a Manila, con scalo a Catbalogan. Al comando c’era il capitano Eusebio Nazareno. In teoria la nave sarebbe dovuta approdare a Manila alle 4 del mattino successivo. Secondo quanto riferito, l’ultimo contatto radio avvenne alle ore 20:00. Tuttavia alcuni rapporti successivi sostennero che il Doña Paz non avesse alcuna radio.
Sappiamo che alle ore 22:30 il traghetto transitava vicino a Dumali Point, nello stretto di Tabls, vicino a Marinduque. La nottata era tranquilla, senza alcun segno di maltempo, anche se il mare era mosso. Questo a detta di un sopravvissuto. A quell’ora la maggior parte dei passeggeri dormiva. E fu proprio allora che il Doña Paz entrò in collisione con la Vector, una petroliera che da Bataan stava andando a Masbate. La Vector trasportava qualcosa come 1,05 milioni di litri di benzina.

Subito dopo la collisione, un incendio scoppiò nel carico della Vector. Le fiamme si propagarono subito anche sul Doña Paz. Uno dei sopravvissuti spiegò che sentirono uno schianto e un’esplosione. E in mezzo al panico, notarono che tutto il mare intorno alla nave era in fiamme.
Luthgardo Niedo, caporale della polizia filippina e sopravvissuto al naufragio, ricordò come tutte le luci di bordo si spensero pochi minuti dopo l’impatto. Inoltre pare che non ci fossero giubbotti di salvataggio sul Doña Paz e che gli stessi membri dell’equipaggio corressero lungo il traghetto in preda al panico, esattamente come gli altri passeggeri. Non c’era nessuno a dare ordini e nessuno cercò di organizzare il salvataggio. Successivamente ci fu chi sostenne che gli armadietti in cui dovevano trovarsi i giubbotti di salvataggio erano chiusi a chiave.
I sopravvissuti all’impatto saltarono già dalla nave e iniziarono a nuotare in mezzo ai corpi carbonizzati e ai detriti, nelle acque infuocate. Molti di costoro stavano usando delle valigie come mezzo di galleggiamento. Due ore dopo l’impatto il Doña Paz si inabissò, mentre la Vector ci mise quattro ore. E ancora adesso i due relitti giacciono vicini a una profondità di 545 metri, circondati da squali.
Nel frattempo la nave Don Claudio, di passaggio in zona, aveva assistito da lontano all’esplosione. L’imbarcazione si era così diretta sul luogo e, dopo un’ora, avevano trovato i sopravvissuti del Doña Paz. Riuscirono così a far salire 26 sopravvissuti a bordo: 24 erano passeggeri del Doña Paz e solo due erano membri dell’equipaggio della Vector.
In realtà c’era una 25esima sopravvissuta, Valeriana Duma, identificata solamente in seguito. E il sopravvissuto più giovane del Doña Paz era un bambino di quattro anni. Nessun membro dell’equipaggio del Doña Paz sopravvisse. La maggior parte dei sopravvissuti riportò ustioni di vario grado. A quanto pare ci vollero almeno otto ore prima che le autorità marittime delle Filippine fossero messe a conoscenza dell’incidente e altre otto ore ci vollero prima di far partire le operazioni di ricerca e soccorso.
Ovviamente seguirono delle indagini. Secondo quanto scoperto, al momento dell’impatto, solamente un apprendista dell’equipaggio del Doña Paz stava tenendo d’occhio il ponte della nave. Gli altri ufficiali stavano bevendo birra o guardando la tv negli alloggi dell’equipaggio. Lo stesso capitano stava guardando un film nella sua cabina. Il sopravvissuto Luthgrdo Niedo confermò che un collega, anche lui membro della polizia, lo aveva avvisato che c’era una festa in corso con risate e musica ad alto volume sul ponte. E a tale festa avrebbe partecipato anche il capitano.
Le indagini appurarono che, a detta dei sopravvissuti, il Doña Paz stesse ospitando anche 4mila passeggeri. Questo anche perché c’era gente che dormiva nei corridoi, sui ponti e in letti a castello con tre o quattro persone. A dire il vero non si sa quante persone fossero a bordo al momento dell’incidente.
L’elenco del 1987 parlava di 1.583 passeggeri, con 58 membri dell’equipaggio. Ma un funzionario della Sulpicio Lines, rimasto anonimo, avvisò gli inquirenti che, visto che era il periodo di Natale, alcuni biglietti erano acquistati illegalmente e direttamente a bordo della nave, a tariffe più economiche. E questi passeggeri non risultavano sul registro di bordo. Idem dicasi per chi aveva dei biglietti omaggio e per i bambini non paganti di età inferiore ai quattro anni.
Considerate che dei 26 passeggeri sopravvissuti, solamente cinque facevano parte dell’elenco di bordo. Un’indagine successiva parò di almeno 2mila persone non registrate a bordo, mentre nel 1988, parlando anche con i parenti delle vittime, si stimò che a bordo ci fossero minimo 3.099 passeggeri e 59 membri dell’equipaggio. Nel 1999 il numero di passeggeri salì a 4.342, anche perché vi furono più di 4.100 richieste di risarcimento. Facendo due conti, togliendo dal conteggio i sopravvissuti e aggiungendo i membri dell’equipaggio, comprendendo anche gli 11 morti dell’equipaggio della Vector, ecco che il totale arriva a 4.385. E si parla di un numero che è di circa 3 volte superiore alla capacità massima del traghetto.

Ma la storia non finì qui. Il Board of Marine Inquiry scagionò la Sulpicio Lines. Altre indagini rivelarono che la Vector stava operando senza licenza e con vedetta o comandante non qualificati. Secondo la Corte Suprema delle Filippine era la Vector che doveva risarcire le vittime della collisione.
I parenti delle vittime fecero ricorso sia contro la Sulpicio Lines che contro la Vector e, in alcuni casi, la Corte Suprema stabilì che anche i famigliari delle vittime non in elendo sul registro di bordo ufficiale avevano diritto all’indennità. E mentre un memoriale costruito a Pieta Park a Catbalogan ricorda quel tragico giorno, ecco che i relitti del Doña Paz e della Vector furono localizzati solamente nel 2019 dalla nave da ricerca Petrel. E pare che i due relitti siano ancora in buone condizioni.