Fotografia di AP Photos/Kyodo, Hiroshima, Giappone, 3 agosto 1951. Un negozio di souvenir apre a pochi passi dalla cupola in frantumi dell’Industry Hall, simbolo di una città, Hiroshima, in ripresa dopo il dramma della Seconda guerra mondiale, culminato nell’esplosione dell’ordigno atomico che tutti ricordiamo. Lo scatto dei primi anni ’50, per quanto semplice, poiché di poche pretese, è l’emblema di una comunità allora in piena ripresa. E su questa rinascita mi piacerebbe convogliare la vostra attenzione.

Per Hiroshima esiste una storia antecedente al 6 agosto 1945 e una posteriore a questa data. Ciò che ci fu dopo, si ammantò di un determinato simbolismo. In effetti anche la fotografia in sovrimpressione è simbolica, tanto per l’estetica, quanto per la storia – piccola ma non per questo insulsa, anzi, tutt’altro – che può raccontarci. In primo piano si vede un piccolo chiosco di souvenir, gestito da Kiyoshi Yoshikawa, sopravvissuto e ferito nell’esplosione atomica del 6 agosto 1945. Sullo sfondo si staglia la cupola dell’Industry Hall, oggi conosciuta come Genbaku Dome o “Cupola della Bomba Atomica”. Uno dei pochi edifici rimasti in piedi nel raggio dell’epicentro e destinato a diventare il principale memoriale della tragedia.
L’immagine racchiude due dimensioni contrastanti e malgrado ciò, complementari. La devastazione ancora tangibile e i primi segnali di rinascita. A soli sei anni dalla bomba, Hiroshima cercava di rialzarsi dalle macerie. Nel 1945 la città aveva conosciuto la distruzione in tutta la sua essenza. L’atomica fece tabula rasa per oltre due terzi, con un bilancio di circa 140.000 morti entro la fine di quell’anno. Gli effetti delle radiazioni continuarono per decenni, ma già nei primi anni Cinquanta la vita quotidiana riprendeva, seppur in un contesto durissimo.

Il chiosco di Yoshikawa, davanti al simbolo della distruzione, rappresenta bene lo spirito della ricostruzione giapponese. Vendere souvenir a pochi metri dal “Ground Zero” non era soltanto un modo per sopravvivere economicamente, ma significava anche cercare di dare un nuovo senso al luogo, trasformando il trauma in memoria viva e, paradossalmente, in occasione di incontro. Hiroshima stava infatti diventando meta di visitatori, giornalisti, studiosi e pellegrini che volevano vedere con i propri occhi gli effetti della bomba atomica.
La ricostruzione di Hiroshima fu rapida, almeno rispetto alle previsioni. Nel 1949 il parlamento giapponese approvò la Legge per la ricostruzione di Hiroshima come Città della Pace, che fece della città non solo un cantiere di rinascita materiale, ma anche un centro simbolico di memoria e di impegno pacifista.

La cupola, inizialmente vista da molti come un relitto scomodo, fu salvata grazie a una campagna cittadina. Abbatterla avrebbe significato cancellare una testimonianza diretta dell’orrore, mentre conservarla trasformava la rovina in monito universale.
Questa foto del 1951 coglie un momento di passaggio. Hiroshima non era più soltanto una città distrutta, ma non era ancora la città moderna e simbolo internazionale della pace che sarebbe diventata. Accanto alle rovine, la gente ricominciava a vivere, a lavorare, a socializzare, e persino a commerciare piccoli oggetti ricordo. In questo gesto semplice, quasi ordinario, si rifletteva la straordinaria capacità dei giapponesi di trasformare la sofferenza in resilienza, il vuoto in memoria, e la distruzione in occasione di rinascita.