Fotografia di anonimo, Kennedy Space Center, Florida, 11:39 del 28 gennaio 1986. Lo scatto ritrae la tragica fine dello Space Shuttle Challenger, distruttosi dopo appena 73 secondi di volo. Poco più di un minuto di emozioni concesse ai 7 membri dell’equipaggio, poi l’improvviso scoppio e la morte di tutti i componenti. Il fumo bianco nel cielo di Florida è tutto quello che ci rimase di quella tragica missione.

La STS-51-L fu la 25ª missione del programma STS programmata per la mattinata del 28 gennaio 1986. Tutto sembrava pronto quando avvenne la partenza ma, purtroppo, così assolutamente non era. Una guarnizione, precisamente un anello di elastomero, detto O-ring, era difettosa e causò una fuoriuscita di fiamme che andò verso il serbatoio esterno. Era la fine, tragica, alacre e cruda.
Nell’ET, external tank, c’erano infatti idrogeno e ossigeno liquidi che causarono una violentissima esplosione nei cieli della Florida. Per darvi un’idea della violenza dell’esplosione vi diciamo che alcune parti dello Shuttle, compresa la cabina dell’equipaggio, furono scagliate in fondo all’Oceano e ritrovate solo 36 anni dopo lo scoppio.

C’è un’altra pagina triste e cupa: quella riguardante Christa McAuliffe. Oltre ai 6 astronauti infatti vi era anche un’insegnante a bordo, per la prima volta nella storia. Christa avrebbe dovuto trasmettere la prima lezione di scienze dallo spazio. Purtroppo, come tutti gli altri presenti, anche lei perse tragicamente la vita senza mai raggiungere l’orbita.
Nella foto qui in basso si possono vedere, da sinistra a destra: Michael John Smith, Dick Scobee e Ronald McNair, e, in seconda fila, sempre da sinistra a destra, Ellison Onizuka, Christa McAuliffe, Gregory Jarvis e Judith Resnik. Anche per il capitano Micheal John Smith, sorridente con il casco fra le mani, fu un giorno un po’ più amaro. La STS-51-L era la sua prima missione da capitano e il suo primo volo. Fu anche l’ultimo.

Dopo il tragico incidente, le missioni spaziali con equipaggio subirono una sospensione di circa due anni e mezzo. L’uomo non nasce per volare ma spesso non riesce a tenere i piedi per per terra. Quella dello Shuttle Challenger fu al contempo doccia fredda e bagno d’umiltà per un’umanità che si rimise sotto con lo studio e le preparazioni in materia di sicurezza prima di rischiare di nuovo la vita di numerose persone.