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Foto del giorno: come scorreva lenta la vita nel carcere cubano di Boniato

Foto del giorno: come scorreva lenta la vita nel carcere cubano di Boniato

Fotografia di Laurie Sparham, carcere di massima sicurezza di Boniato, Cuba, 1987. Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso e su concessione del governo rivoluzionario cubano, la fotografa britannica Laurie Sparham ebbe l’opportunità di catturare la realtà del sistema carcerario sull’isola caraibica. La scena immortalata è diretta e non lascia spazio a chissà quale interpretazioni: due prigionieri giocano a scacchi, anche se la mobilità è tutto fuorché illimitata; le sbarre a divisione delle due celle ci ricordano dove ci troviamo, dove loro si trovano, in un luogo dove la disgregazione sociale è compiuta e dove, se si vuole sopravvivere, è importante, anzi vitale, darsi da fare.

Foto del giorno: come scorreva lenta la vita nel carcere cubano di Boniato

L’accenno storico sulla Prisión de Boniato è prima di tutto doveroso. Il complesso si trova vicino Santiago de Cuba, nella parte orientale dell’isola. Lo realizzò il governo cubano di Ramón Grau nel 1945. Dopo l’assalto alla caserma Moncada, Castro vi finì prigioniero, precisamente alla cella numero 3.

Fu uno dei penitenziari più noti e più duri del sistema carcerario cubano, in particolare per essere stato utilizzato dal regime castrista come centro di detenzione per prigionieri politici, dissidenti, oppositori del governo e in certi casi anche giornalisti o attivisti. Già negli anni ’60 e ’70, Boniato era tristemente famoso per le sue condizioni di detenzione estremamente severe e per le accuse ricorrenti di abusi e violazioni dei diritti umani.

Durante gli anni ’80, periodo in cui è stata scattata la fotografia, Cuba attraversò una fase di relativa stabilità politica interna (anche perché era un regime socialista dittatoriale e come tale non poteva che reprimere ogni forma di dissenso interno). Eppure sotto la superficie serpeggiavano malcontento, repressione e scarsità economiche. Chi osava criticare il governo di Fidel Castro, rischiava lunghe pene detentive, spesso in isolamento e in condizioni igienico-sanitarie precarie. In questo contesto, il carcere di Boniato rappresentava uno dei volti più oscuri del socialismo cubano. Mettiamola in questi termini: una “zona d’ombra” dove il controllo statale si esercitava nella sua schiacciante totalità.

Boniato prigione anni '50 Cuba

L’assoggettamento dell’uomo, privato della libertà a causa di comportamenti giudicati inaccettabili dallo Stato socialista, è esplicito nello scatto di Laurie Sparham. La vita scorreva lenta dentro quelle quattro mura, intervallate da un numero indefinito di sbarre, celle e corridoi ammuffiti.

Colpisce ovviamente l’impatto visivo della fotografia. Da un punto di vista artistico-formale, giocano un ruolo centrale i contrasti di colore, la luce diretta sul pavimento e sul cartone che funge da scacchiera. Per non parlare dell’ombra drammatica delle sbarre rosse, le quali sembrano tagliare lo spazio di netto. Le geometrie dello sfondo fanno da contraltare alle forme umane che si possono ravvisare. Le braccia ci suggeriscono che “da quell’altra parte” c’è un uomo, peccatore penitente per il regime castrista. Privati di un’identità, eppure umani nei gesti di tutti i giorni.

Boniato carcere Cuba

Allora ragioniamo su questo messaggio, importantissimo per chi vi scrive: la fotografia di Laurie Sparham va oltre il semplice fotogiornalismo. Essa ci costringe a riflettere sulle condizioni di vita all’interno delle prigioni politiche. Su come anche i più elementari gesti quotidiani possano trasformarsi in forme di autodifesa emotiva. È una fotografia che, senza retorica, grida nel silenzio (è pur sempre un penitenziario, guai a chi alza la voce) la profonda umanità degli incarcerati.