Fotografia di Henri Bureau, Lisbona, Portogallo, aprile 1974. Un’unità di militari portoghesi circonda un presunto agente della PIDE, la polizia politica del regime salazarista, durante la Rivoluzione dei garofani. Henri Bureau, al tempo in servizio per l’agenzia fotografica francese Sygma, immortalò quasi accidentalmente il momento dell’arresto. Di come sia venuta alla luce questa fotografia, iconica dell’aprile rivoluzionario portoghese, ce ne parla un testimone diretto degli eventi.

Prima di passare alla testimonianza, inquadriamo il momento da un punto di vista storico e cronologico. Della Rivoluzione dei garofani si è già detto e scritto parecchio, e in tempi non sospetti; dunque non mi dilungherò. Ci basti sapere che il 25 aprile del 1974, il traballante e vetusto regime dittatoriale a lungo guidato da António de Oliveira Salazar cadde definitivamente. Lui, il professore d’economia ideatore di un autocrazia corporativista, se ne era andato da quattro anni. Morì inconsapevole di essere stato deposto, ma questa è un’altra storia. Come una supernova che esplode e rilascia nello spazio nubi di gas e polvere, così l’Estado Novo implose (dato che, nei fatti, fu un colpo di stato intestino a mutare la situazione politica del Paese) e diede modo alle colonne di una democrazia parlamentare di impiantarsi nella storia recente del Portogallo.
In questo contesto – molto generico, ma come ho già anticipato, gli approfondimenti sull’evento storico sono molteplici (ad esempio questo) – s’inserisce il fotoreporter francese Henri Bureau. Se dicessi “l’uomo giusto al momento giusto”, non sbaglierei mica. Facciamo finta, per un secondo, di trovarci al fianco di Bureau a zonzo per la capitale lusitana alla fine dell’aprile 1974.

Appunto, passeggiamo per la bella Lisbona, e notiamo che un uomo, indicato dalla folla come un agente della famigerata polizia segreta del regime, la Polícia Internacional e de Defesa do Estado, si ritrova circondato da un gruppo di soldati che gli puntano contro i fucili. Il suo volto, lo vediamo, è teso ma non terrorizzato. È quel tipo di compostezza di chi sa di trovarsi davanti a un destino per certi versi già scritto. Esatto, dal momento che tu, presunto sgherro della PIDE, sei il simbolo della repressione più violenta, regola cardinale di uno Stato totalitario che ha smesso di esistere. Insomma, te l’aspetti che qualcuno prima o poi venga a chiederti conto delle tue malefatte. Ma vabbè, passiamo oltre.
Sappiamo però che quell’uomo, con addosso un lungo soprabito chiaro, in realtà non era chi si pensava. Ci fu uno scambio di persona, un incomprensione derivata dalle accuse spontanee di una popolazione sollevata dal mutamento in corso, ma con le scorie della dittatura da dover smaltire. E come, se non con la rabbia? L’innocente al momento della “cattura” era tutt’altro che un semplice passante. Colui che il furore collettivo travolse, in quell’esatto momento, era l’emblema più tenebroso di una dittatura impopolare, isolazionista e arretrata, per di più intrisa di valori colonialisti “non più alla moda”. Tuttavia, proprio per questo, la fotografia di Bureau diventa ancora più potente. Non solo testimonia la fine di un’epoca, ma anche la complessità e l’ambiguità di ogni rivoluzione, dove giustizia e vendetta rischiano di confondersi.

L’Estado Novo si reggeva essenzialmente su due pilastri: un meccanico sistema corporativo e un ferreo controllo poliziesco. Di quest’ultimo, la PIDE ne deteneva lo scettro. Fu una delle polizie segrete più temute d’Europa. Diretta responsabile di torture, omicidi politici e di una capillare rete di spionaggio interno. Le sue sorti iniziarono ad incrinarsi al volgere dell’ultimo decennio della dittatura. Le lunghe e disastrose guerre coloniali in Angola, Mozambico e Guinea-Bissau logorarono l’esercito e impoverirono la madrepatria. I giovani ufficiali, costretti a combattere in Africa per difendere un impero ormai anacronistico, persino agli occhi di alcuni esponenti dell’ultra destra nazionalista, maturarono un crescente risentimento verso il potere centrale, fino a organizzarsi nel Movimento delle Forze Armate (MFA).
Quando quel malcontento si trasformò in azione, l’azione divenne un colpo di Stato. Fortunatamente incruento e senza spargimenti di sangue. L’unico colore rosso che si vide in giro fu quello dei garofani. E mentre Henri Bureau fotografava il presunto poliziotto della PIDE, contro il quale si era accanita la gente del posto, Michel Puech, che seguiva il fotoreporter passo passo, prendeva nota.

Puech ricorda l’atmosfera di una città in ebollizione, “una Lisbona come la Parigi liberata”, con la folla che correva da un punto all’altro, spinta dall’emozione di un sogno che finalmente sembrava realizzarsi. Racconta che Bureau, mentre sorseggiava una birra accanto al centro stampa allestito dai militari, si alzò di scatto non appena vide un movimento anomalo nella piazza del Rossio. Lo seguì, curioso, e insieme si imbatterono in quella scena. Disse: “la folla inferocita urlava ‘PIDE! PIDE!’. L’uomo cercò rifugio in un negozio, ma i soldati arrivarono poco dopo, lo trascinarono fuori e lo circondarono con i fucili puntati. Bureau scattò in quell’istante, catturando l’essenza di un momento irripetibile”.




