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Da Haiti, passando per Napoli, fino in Russia per l’imperatore Napoleone: la storia poco confusa del reggimento Real Africano

Seguirmi sarà difficile. Per i più coraggiosi, vi presento il reggimento fanteria di linea Real Africano. La sua storia parte nel 1800 e termina con la fine dell’epopea napoleonica, nel 1815. Ma se gli estremi cronologici della storia sono limpidi come l’acqua di un atollo micronesiano, il succo della questione è intricato come il groviglio di fili dietro il computer fisso che prende la polvere da circa 15 anni nel vostro studio. Compresi i termini, procedo con la storia, tenetevi forte.

Tutto nasce ad Haiti, dove un sommovimento di forze contrapposte va avanti dagli anni ’90 del XVIII secolo. Spagnoli, inglesi, haitiani e infine francesi hanno interessi sul controllo dell’isola. Con un particolarissimo intervento armato (di cui vi parlammo molto tempo fa), la spuntano i francesi dell’allora primo console Napoleone Bonaparte. Così tra le truppe rivoluzionarie di ritorno, si nota un corpo omogeno composto da soli neri. La maggior parte di loro ha combattuto al fianco delle giubbe napoleoniche, destreggiandosi contro gli odiati spagnoli o gli impavidi riottosi.

Dal porto di Brest parte una lettera diretta a Parigi, indirizzata esattamente al console corso. Il contenuto riecheggia più o meno così: “sono in 1.500, già irregimentati, si fanno chiamare Pionniers Noirs, vogliono combattere, dove caspita li spediamo?” – al che Napoleone risponde: “mh, a pensarci, potremmo mandarli a Mantova, mi sembra una buona idea”. Non mi assumo la responsabilità sulla veridicità di tale dialogo…

E fu così che i Pionniers Noirs, validi combattenti rinnegati nell’isola di provenienza, grossi come granatieri e coraggiosi come leoni, finirono sotto il comando del caraibico Joseph Damingue, che i più acuti conosceranno col nome di battaglia Hercule. Egli fu comandante fidato di Napoleone che tra una carica e l’altra contro i Mamelucchi in Egitto scalò i ranghi dell’esercito. Madre Natura volle che lo stesso Domingue fosse di colore e il caso apparecchiò per l’ufficiale un vero e proprio reggimento accogliente tutti i soldati dall’elevata melanina. Vi entrarono in fila sudamericani delle colonie ispaniche, nordafricani, tra cui ex-pirati degli Stati Barbareschi e tanti altri ancora.

Quando gli austriaci videro quel “battaglione nero” combattere in Veneto o in Friuli, pensarono come d’altronde loro non fossero messi così male rispetto a Napoleone. Mai pensiero fu più grossolano. Nel 1806 i Pionniers Noirs cambiarono nome e comando. Sotto Giuseppe Bonaparte re di Napoli, essi presero la nomina di “Reggimento fanteria di linea Real Africano”. Le fila s’ingrossarono ancor di più, con l’ingresso di egiziani, levantini e altri africani settentrionali. Per Napoli e i napoletani restavano pur sempre “mori”. Ma questi “mori” si dettero da fare, servendo il regno negli scontri di Gaeta, o ancora nell’attività di contro-guerriglia in Abruzzo e anti-brigantaggio in Calabria e Campania. Azioni di successo, che valsero la consegna della bandiera imperiale con l’aquila dorata (e la Legion d’Onore, ma solo dopo la Campagna di Russia).

Napoli cambia re, un Giuseppe riluttante va in Spagna, lasciando il trono partenopeo a Murat. Quest’ultimo cede l’insegna del Real Africano alla Grande Armée; si parte per la Russia. A riprova dell’incredibile multietnicità del reggimento, al suo comando operativo subentra tale Francesco Macdonald. Scozzese per via paterna, sangue adriatico-pescarese per via materna (anche se a giudicare dal parlato, si direbbe abruzzese tutta la vita). I mori napoletani hanno modo di dimostrare la loro tenacia coprendo la ritirata francese prima in Lituania (Kaunas, 1812) e poi in Prussia (Eissdorf, Bautzen, Lutzen, 1813).

Dopo la strenua difesa di Danzica, l’armistizio di Pleiswitz e il primo esilio di Napoleone, il Real Africano si scioglie. Di loro, dalla Restaurazione viennese in poi non si seppe più nulla. Tuttavia ritengo sia importante ribadire la collocazione geografica e temporale che ha consegnato questi uomini agli annali, una storia che purtroppo viene costantemente omessa per lasciare spazio agli Eventi con la proverbiale vocale in maiuscolo.