Ulisse, guerriero astuto, una mente brillante e anche un latin lover a quanto pare. Perché nell’Odissea tutte si innamoravano di lui. Inclusa Calipso, che tutti ci ricordiamo essere la ninfa dell’isola di Ogigia che si innamorò di lui e che lo tenne prigioniero per ben 7 anni. Già, ma chi era Calipso? E perché se ne stava sola soletta in quest’isola sperduta?
Chi era davvero Calipso?

Omero nell’Odissea ci fa sapere che Calipso era la figlia del Titano Atlante (quell’Atlante, quello che alla fine della Titanomachia venne condannato da Zeus a sopportare il peso del cielo per l’eternità e che abbiamo incrociato in una delle fatiche di Ercole), ma non ci dice nulla sulla madre. Seguendo questa teoria, ecco che Calipso potrebbe essere stata esiliata nella remota isola di Ogigia per aver parteggiato per il padre. Oppure poteva essere un modo per prendere le distanze dagli dei che avevano condannato il padre.
Ma nella Teogonia, Esiodo propone un’origine alternativa. Secondo lo scrittore, era una delle Oceanidi, le ninfe marine nate dai Titani Oceano e Teti. Per Apollodoro, invece, Calipso era una delle Nereidi, altre ninfe marine, discendenti delle divinità marine Nereo e Doride.
Riguardo ad altri membri della sua famiglia, Omero non parla di figli, mentre Esiodo sostenne che Calipso ebbe due figli da Ulisse, Nausitoo e Nausinoo. Per lo scrittore romano Igino, i due ebbero anche un terzo figlio, Latino. Ma la maggior parte delle tradizioni sostiene che Latino sia figlio di Ulisse e della maga Circe.
Parlando invece delle capacità di Calipso e delle sue abilità, non è che si sappia molto. Anche perché oltre che nell’Odissea, non è che compaia in altri miti. Si sa che era una ninfa e una divinità minore. Dunque era uno spirito femminile della natura e come tale personificava diversi elementi naturali.
Comunque sia, seguendo quando sostenuto da Omero, Calipso non era una ninfa come le altre. La descrive in realtà come una dea dai notevoli poteri e dalla bellezza straordinaria. Inoltre, a differenza della maggior parte delle altre ninfe, Calipso era immortale. E non solo: poteva donare l’immortalità agli altri. Sappiamo anche che, in una certa misura, era in grado di controllare i venti (visto che usò questa sua capacità per far salpare Ulisse). Praticamente era un gradino sopra le comuni ninfe, intese come divinità minori e un gradino sotto gli Olimpi.
Veniamo ora all’Odissea. Conosciamo Calipso quando Ulisse approda sulla sua isola. Dopo la guerra di Troia, Ulisse vagò per tutto il Mediterraneo cercando di tornare a casa dalla moglie Penelope e dal figlio Telemaco. Durante il suo viaggio, sappiamo che incontrò e accecò il gigante Polifemo (facendo così infuriare Poseidone), riuscì a sopportare il canto delle sirene, oltrepassò i mostri Scilla e Cariddi, ebbe qualche guaio con la maga Circe (divenne il suo amante per più di un anno, nonostante tutta quella storia dei maiali) e scese anche negli Inferi.

Ad un certo punto, però, Zeus decise di distruggere tutte le navi di Ulisse, annegandone l’equipaggio. Questo perché doveva in qualche modo placare il dio del sole Elio, visto che il suddetto equipaggio si era mangiato alcuni dei suoi buoi sacri. L’unico a essere risparmiato dall’ira di Zeus fu Ulisse e solo perché non aveva voluto mangiare quei buoi. Ulisse finì così col sopravvivere in mare su una zattera di fortuna costruita con i resti della sua nave. E dopo una decina di giorni, approdò sull’isola di Ogigia.
Fu proprio Calipso a trovare il naufrago Ulisse sulle rive della sua isola. Lo soccorse, lo curò e poco per volta si innamorò di lui. All’inizio Ulisse ricambiò i suoi sentimenti: era ben lieto di offrirle compagnia e donarle un po’ di affetto. Ma sappiamo tutti che sulle questioni amorose Ulisse era una contraddizione vivente: ebbe diverse amanti, di cui si innamorò anche, ma c’era sempre quel tarlo che lo spingeva, ad un certo punto, a voler tornare a casa dalla moglie
Ulisse rimase con Calipso per anni, fino a quando il tarlo del ritorno a casa non bussò nuovamente alla mente di Ulisse. Disse a Calipso che era giunta per lui l’ora di andarsene, ma Calipso rifiutò seccamente. Anzi: cercò di convincerlo a rimanere promettendo di renderlo suo marito e offrendogli immortalità ed eterna giovinezza. Ma niente da fare: ormai Ulisse aveva attivato la modalità “Ritorno a casa” e non si fece tentare da quella divinità bellissima, innamorata, che abitava su un’isola paradisiaca e che gli offriva immortalità ed eterna giovinezza.
A questo punto Calipso si trasformò da amante a carceriera. Ulisse trascorse sette anni bloccato sull’isola, guardando verso casa, seduto mestamente a piangere sulla spiaggia per la nostalgia di Itaca e della famiglia. Ogni notte Calipso costringeva l’eroe a passarla con lei, ma lui rifiutava sempre di accettare l’immortalità. Tuttavia Calipso persisteva, probabilmente pensava di convincerlo per sfinimento.

E magari ci sarebbe anche riuscita se non fosse intervenuta Atena. La dea, infatti, era da sempre la protettrice di Ulisse. Preoccupata per la lunga prigionia, chiese a Zeus di intervenire. Zeus, che non riusciva a rifiutare nulla ad Atena, spedì Hermes, il messaggero degli dei, da Calipso, intimandole di liberare Ulisse.
La parola di Zeus era legge e gli Olimpi avevano immaginato che la ninfa capitolasse senza proferire verbo. Ma non andò esattamente così. Calipso, infuriata come non mai, non era un’amica degli Olimpi. Anzi: era la figlia di Atlante. E così si lanciò in una filippica, sottolineando l’ipocrisia degli dei maschi dell’Olimpo che imponeva uno doppio standard alle dee innamorate.
E ricordò loro di quando Eos, la dea dell’aurora, si innamorò del cacciatore mortale Orione, ucciso poi da Artemide. O di quando Zeus, venuto a sapere che Demetra si era innamorata dle mortale Iasione, lo uccise con i suoi fulmini. Se una dea si innamorava di un mortale, era una tragedia. Ma se un dio si innamorava di una mortale, allora andava bene. Zeus stesso aveva rapito il principe Ganimede di Troia, facendolo diventare il suo coppiere e amante immortale. Ma nessuno aveva punito Zeus per le sue azioni.
Calipso fece poi notare a Hermes che era stato proprio Zeus ad affondare le navi di Ulisse e a farlo arrivare sulla sua isola. Nonostante il discorso, Calipso fu comunque obbligata a obbedire a Zeus. Andò da Ulisse e gli disse che era libero di partire. Sulle prime l’eroe non le credette. Solamente quando la ninfa giurò sullo Stige, Ulisse capì che era libero di partire.
Dopo un’ultima notte trascorsa insieme e un ultimo tentativo di convincerlo a rimanere, ecco che Ulisse poté partire. Calipso fornì a Ulisse gli strumenti per realizzare un‘imbarcazione e le scorte per il viaggio. Poi evocò un vento per farlo salpare. Fine della storia per Omero, che non parlerà mai più di Calipso.
Le Fabulae di Igino, nel II secolo d.C., cercarono di dare una fine a questa storia, sostenendo che Calipso si sia suicidata dopo la partenza di Ulisse. Altre versioni, invece, sostengono che si sia seduta là dove Ulisse si sedeva, piangendo per il suo amore non corrisposto.