A cavallo tra il XV e il XVI secolo, le acque del Mediterraneo conobbero un padrone incontrastato, un uomo il quale nome faceva drizzare i peli ai diretti concorrenti o avversari, che dir si voglia. Nato con il mare nelle vene, Aruj Barbarossa agì inizialmente come corsaro al servizio della propria volontà, salvo poi promettersi alla Sublime Porta, combattendo per quest’ultima fino alla morte. La sua storia non è svanita nelle pieghe del tempo, anzi, oggi è più vivida che mai!
Nacque nella Lesbo ottomana nel 1474, 12 anni dopo che i genovesi la persero. Aruj fu il secondo di quattro fratelli e due sorelle. Il padre di origine albanese in gioventù servì con onore Costantinopoli, ricevendo come ricompensa un piccolo feudo nel bel mezzo dell’Egeo. Egli sposò la greca Katerina e si avviò nella professione di commerciante, acquistando un battello, sul quale tra l’altro lavorò anche Aruj, insieme ai fratelli.
E sullo stesso battello, la vita del giovane Aruj e dei suoi fratelli marinai cambiò per sempre. Caduto prigioniero dei Cavalieri di San Giovanni (i quali agivano da pirati operando dall’isola di Rodi), Aruj divenne schiavo e come tale fu venduto. Tuttavia, per un colpo di fortuna, il ragazzo riuscì a fuggire, trovando rifugio prima in Italia e poi in Egitto. Nella terra delle piramidi Aruj chiese ed ottenne udienza presso il sultano mamelucco Al-Ashraf Qansuh al-Ghawri, al quale si strinse in cambio di una nave. A cosa gli serviva? Combattere i cristiani per tutto il Mediterraneo.
Nel frattempo si era compiuto il 1492: Reconquista. I cattolicissimi spagnoli non videro di buon occhio musulmani ed ebrei, cacciati senza scrupolo dalla penisola iberica. Prendendo di mira qualche imbarcazione spagnola, Aruj riuscì a trarre in salvo un gran numero di rifugiati, accompagnandoli nel Maghreb. Il gesto lo consacrò al nome di Baba Aruj (ovvero Padre Aruj), l’assonanza fu scontata. Ed ecco che iniziò la leggenda di Aruj Barbarossa. Sempre contro le mire ispaniche, il Barbarossa servì come mercenario per il popolo algerino, difendendo la costa settentrionale.
Durante queste campagne il Barbarossa perse anche il braccio e comunque continuò a lottare. Il coraggio e la dedizione gli valsero la chiamata nel 1516 della città barbaresca di Algeri, volenterosa di liberarsi degli odiatissimi spagnoli. Aruj accettò, lottò come un leone e alla fine prevalse. Il corsaro divenne governatore di Algeri e un anno dopo giurò fedeltà agli Ottomani.
Ma come tutte le storie, anche questa ebbe la sua fine, senz’altro gloriosa, sia chiaro. Fino al 1518 il neo comandante della città di Algeri non riuscì mai a togliersi quella spina nel fianco degli spagnoli. Nei pressi di Tlemcen giunse allo scontro finale. In inferiorità numerica, privo di rinforzi, Aruj Barbarossa conobbe l’assedio per 20 giorni, resistendo valorosamente. Alla fine cadde, insieme all’ultimo fratello rimastogli. Morì, ma la sua fama sopravvisse nel tempo e la statua, situata nel porto di Algeri, che lo vede con fare imponente imbracciare una sciabola dinnanzi un cannone, non fa altro che ricordarcelo.