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Anni ’50: arriva il mais americano in Italia, la pianta “miracolosa” e le radici del progresso

La progressiva integrazione militare, politica ed economica fra Italia e USA negli anni immediatamente adiacenti alla Seconda Guerra Mondiale, e successivi, è cosa ben nota. Un aspetto interessante di tale progressiva integrazione fu quello economico, che passò, a partire dal ’47, anche attraverso il mais “miracoloso” importato dagli USA che prometteva rese mai viste prime.

La prima domanda che sorge spontanea riguarda la necessità di importare un cereale già in larga parte prodotto sui nostri suoli. La risposta era molto semplice, la pianta ibridata americana, frutto di ricerche e campagne produttive, era più resistente alle malattie e più produttiva. Il miracolo sembrava concreto e attirava di sicuro l’attenzione dei coltivatori.

In effetti, la prima campagna madicola con grani ibridati americani aumentò le rese italiane nel ’47-’48. Ci furono però i primi problemi. In primis si crearono grandi disparità nord-sud. Nel settentrione, Veneto e Lombardia in primis, la produzione di grano per ettaro risultò più alta di quella effettuata col grano nostrano. Al sud le rese furono deludenti. Perché?

Il mais ibridato americano era sì molto produttivo, ma richiedeva ingenti quantità di fertilizzanti e molta, molta irrigazione. Se gli imprenditori agricoli e i produttori settentrionali seguirono in parte tali direttive, al sud ciò non avvenne. Ecco la risposta al precedente quesito. Ma c’era anche un altro problema: essendo frutto di ibridi, il mais americano non era adatto ad essere ripiantato. Non esistevano “seconde generazioni”. Ogni anno si doveva ricomprare nuovi semi.

Ciò non avveniva con i mais nostrani, e molti faticarono ad accettare tale innovazione, soprattutto al sud. Solo il tempo avrebbe incanalato nella giusta direzione le innovazioni e portato l’Italia a raccolti record come quello del 1951, che però non aveva superato ancora la produzione pre-bellica del quadriennio 1936-39. Con il “Piano Marcora” del 1981 ci sarà invece il definitivo sorpasso.

Fra il ’57 ed il ’59 le sementi ibridate in molte regioni italiane superarono definitivamente quelle nostrane. I raccolti si dimostrarono superiori, ma col tempo, in particolare con i grandi sommovimenti storici europei (PAC e CEE) e internazionali (caduta del muro di Berlino) i rapporti fra USA, Italia e UE cambiarono, comportando un progressivo ritorno alla produzione di mais nostrani.