Almanacco del 18 luglio, annoi 1979: a Torino, membri dell’organizzazione armata terroristica di estrema sinistra Prima Linea assassinano l’esercente Carmine Civitate. Il gestore del bar dell’Angelo fu una delle tante vittime innocenti degli anni di piombo. La sua morte fu dovuta a dei fatti di cronaca che interessarono la succitata attività torinese il 28 febbraio del medesimo anno. In quella data vi fu uno scontro a fuoco tra militanti dell’organizzazione comunista di stampo terroristico e agenti delle forze dell’ordine. La sparatoria si risolse con la morte di due terroristi: Matteo Caggegi e Barbara Azzaroni.

La cellula torinese di Prima Linea ritenne, erroneamente tra l’altro, che ad avvisare la polizia quel 28 febbraio 1979 fosse stato lo stesso Carmine Civitate. Dunque fu questo il pretesto dietro il barbaro omicidio del 38enne nato nel 1941 a Pallagorio, provincia di Crotone. Sposato, con due figli, il signor Civitate aveva deciso di rilevare un locale in via Paolo Veronese, a Torino, e condurre una nuova vita, lavorando dietro il bancone del bar dell’Angelo. Erano gli sgoccioli del 1978. Mai avrebbe pensato di cadere, seppur involontariamente, nella violenta spirale del terrorismo politico.
Perciò dopo i fatti di febbraio ’79, tra i militanti di Prima Linea si diffuse la convinzione che i due compagni uccisi fossero stati in realtà “traditi“. Cioè, si pensò che qualcuno avesse fornito informazioni alla polizia per farli trovare nel bar di via Paolo Veronese. Il sospetto cadde proprio sull’esercente Carmine Civitate, completamente estraneo sia all’agguato sia all’ambiente militante.

Così giunse il 18 luglio 1979, giorno in cui nel capoluogo piemontese si respirava un’aria pesantissima. A renderla così asfissiante erano i fatti di sangue intercorsi tra il febbraio e il luglio, scaturiti dal desiderio di vendetta di Prima Linea. Un commando, capitanato da Maurice Bignami e Marco Donat-Cattin, fece irruzione nel locale. Tre colpi d’arma da fuoco perforarono il torace e la testa di Carmine Civitate. I due assassini si dileguarono subito dopo, lasciando l’uomo privo di vita sul pavimento del bar.
L’organizzazione terroristica d’estrema sinistra si attivò, a distanza di poco tempo dal delitto, per rivendicare l’omicidio. Lo fece avvalendosi della visibilità fornita dal quotidiano «La Stampa». Ancora nella rivendicazione appariva esplicito il motivo dell’uccisione: Civitate, agli occhi dell’organizzazione, era il responsabile della morte di Caggegi e Azzaroni.

Emerse successivamente in sede processuale – e anche nelle dichiarazioni di alcuni ex militanti pentiti – come Civitate non aveva avuto alcun ruolo nella segnalazione che aveva portato all’intervento della polizia. Si era trattato di una delazione anonima (forse telefonica), probabilmente da parte di un altro esercente. Civitate morì per errore.