Almanacco del 17 maggio, anno 1990: l’Organizzazione Mondiale della Sanità rimuove ufficialmente l’omosessualità dalla classificazione internazionale delle malattie mentali. Definisce la stessa come “una variante naturale del comportamento umano”. È una data storica, un momento spartiacque: conclusivo di un lungo e tortuoso cammino fatto di lotte, proteste e discriminazioni; introduttivo di una nuova fase, volta alla sensibilizzazione e alla conquista di nuovi diritti civili.

Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM), attualmente uno dei sistemi nosografici per i disturbi mentali o psicopatologici più utilizzati al mondo, fin dalla sua prima edizione, pubblicata nel 1952, classificava l’omosessualità esplicitamente come disturbo mentale. Negli anni ’70 la targhetta decadde, venendo sostituita dalla non meno controversa classificazione di “orientamento sessuale egodistonico”. Ovvero un codice diagnostico per gli individui angosciati dalla loro omosessualità (rimasto invariato fino al 2013).
Solo questo piccolo appunto ci fa capire come, nel pieno del XX secolo, si considerasse l’omosessualità un fattore distorsivo della salute umana, una malattia da dover curare. Retaggio di un atteggiamento discriminatorio esistito da sempre e da sempre considerato normale per le società del mondo, totalitarie o democratiche che fossero. Perché se nel 1952 il DSM considerava in tal modo l’orientamento sessuale, attuando di fatto una separazione fra noi – i normali – e loro – i deviati – non bisogna andare troppo indietro nel tempo per osservare un’aberrazione materialmente più grande, ma ideologicamente simile.

Il triangolo rosa li contraddistingueva nei campi di sterminio nati in seno al Terzo Reich. Una forma geometrica appuntata sulle casacche in stoffa degli omosessuali maschi, a rigor di legge, sulla base all’articolo 175 del codice penale tedesco. Da “buoni” alleati quali noi italiani eravamo, non potevamo esimerci da avere un codice penale altrettanto limitante, votato alla discriminazione e aspramente vessatorio. Il Codice penale Rocco, sebbene non contenesse specifiche normative contro gli omosessuali (dove c’è il grigio normativo, c’è libertà di scelta, e che scelta all’interno di un regime dittatoriale per sua natura avverso alle minoranze sociali, religiose, etniche…), venne alla luce in origine con un articolo, il 528 per l’esattezza, che puniva con il carcere duro i colpevoli di immorali relazioni omosessuali.
Discostandoci dagli esempi a noi vicini, la battaglia per “normalizzare” l’omosessualità sarà dura, faticosa, ma orgogliosamente accesa. Vivrà di alti e bassi, di supporti e di contrasti, ma alla fine porterà a casa vittorie epocali. Una su tutte, la delibera espressa dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità il 17 maggio 1990.

L’OMS, come autorità sanitaria internazionale, basava la sua classificazione sull’ICD (International Classification of Diseases). Moltissimi paesi utilizzavano quest’ultima per definire standard di diagnosi, trattamento e politiche sanitarie. Finché l’omosessualità restava nell’ICD, continuava ad essere considerata formalmente una malattia da molti sistemi sanitari nazionali. Poi la svolta del 17 maggio ’90.

La decisione dell’OMS segnò un punto di svolta nella percezione dell’omosessualità come variante naturale dell’orientamento sessuale umano, non più patologica. Gli stessi paesi che seguivano l’ICD iniziarono a rivedere le proprie leggi nazionali, con annesse pratiche escludenti, per adattarsi al cambio di registro voluto dall’OMS. Nel 2004, in ricordo della scelta presa nel maggio del 1990, si istituì la Giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Questa si celebra il 17 maggio di ogni anno.