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Foto del giorno: il "fuoco amico" contro Nicola Calipari

Foto del giorno: il “fuoco amico” contro Nicola Calipari

Fotografia di anonimo, Baghdad, Iraq, marzo 2005. L’automobile trivellata di colpi è quanto resta di un ambiguo e oscuro caso che nel 2005 ha coinvolto i servizi segreti italiani, l’esercito statunitense e il governo di Roma. La vittima: Nicola Calipari, capo dipartimento ricerche presso il SISMI. La storia della sua morte, causata dal “fuoco amico” americano, è quanto di più sconcertante ci possa essere, soprattutto perché riflesso di distorte dinamiche di potere, alle quali si deve sottostare per avere salva la vita.

Foto del giorno: il "fuoco amico" contro Nicola Calipari

Nicola Calipari, dopo mesi di negoziazioni, era riuscito a prelevare Giuliana Sgrena, giornalista per Il Manifesto presa in ostaggio in Iraq. Assieme all’autista Andrea Carpani e alla giornalista liberata, si stava dirigendo a bordo di una Toyota Corolla verso l’aeroporto di Baghdad. Attendeva sulla pista un aereo che li avrebbe riportati in Italia, sani e salvi. A meno di un chilometro dall’arrivo, da un posto di blocco americano partì una raffica di mitragliatrice. Carpani e Sgrena si salvarono. Non ebbe la stessa sfortuna l’agente Calipari, raggiunto da un colpo alla testa.

Il “fuoco amico” provenne dal Blocking position 54, posto di blocco provvisorio sulla Route Irish. Era stato formato al passaggio dell’ambasciatore USA in Iraq John Negroponte. Da Washington non ebbero alcun dubbio fin dal primo istante. Il personale aveva “agito in conformità con le norme di ingaggio per neutralizzare il veicolo percepito come una minaccia” esprimendo comunque “cordoglio e rammarico” per quanto accaduto.

Nicola Calipari agente SISMI

La magistratura italiana si mise all’opera, intenzionata a processare il mitragliere Mario Louis Lozano per omicidio volontario. Non si poté mai fare nulla, visto il veto degli Stati Uniti sulla questione. Il Paese alleato dell’Italia aveva una linea di pensiero in parte divergente sul comportamento da adottare in caso di sequestri di persona, e forse l’Italia, distanziandosi da quelle linee guida, aveva osato indispettire il gigante a stelle e strisce.

Il governo di Roma, allora presieduto da Silvio Berlusconi, aveva accettato di pagare un sostanzioso riscatto per il rilascio della giornalista Sgrena. Anche se era già successo in passato, non si ammise il pagamento del riscatto attraverso canali ufficiali. Gli USA, che sbandieravano con orgoglio il fatto di non scendere mai a compromessi col terrorismo jihadista, avevano agito allo stesso modo in casi diversi. Un conto è la realtà, un altro è la narrazione della stessa.

Nicola Calipari giornale morte

L’omicidio dell’agente Nicola Calipari, originario di Reggio Calabria, fu commesso da un soldato statunitense (tra l’altro di origini italiane), oltreoceano considerato immune da ogni colpa. La versione americana è lineare, fin troppo anche: la Toyota Corolla priva di scorta e di segnali di riconoscimento avanza a velocità sostenuta verso il posto di blocco. Il soldato Lozano accende il faro e intima un “alt”. Niente, l’auto corre veloce. Lozano spara colpi d’avvertimento che però non sortiscono alcun effetto. Il militare prende la mira, punta il vano motore per fermare l’auto e preme il grilletto. Sfortunatamente un colpo finisce sulla testa dello 007 italiano.

Carpani, che la scena se la ricorda molto bene, smentisce la versione americana. Secondo l’autista, l’automobile rallentò alla vista del posto di blocco. Inoltre sostenne di tenere accesi i fari di posizione per non destare sospetti. Egli dice anche che la luce del faro si accese contemporaneamente agli spari. Le dichiarazioni dell’italiano combaciarono perfettamente con i rilievi eseguiti sulla Toyota Corolla quando arrivò in Italia – anche se in condizioni “migliori” rispetto a quando le autorità statunitensi la presero in consegna.

Nicola Calipari salma Italia

Altro elemento fonte di dubbi è il perché del posto di blocco. Al passaggio del diplomatico, il responsabile ne ordinò lo smantellamento, eppure i superiori chiesero di attendere. Mezz’ora dopo arrivò l’auto con i tre italiani a bordo. In seguito alle ricostruzioni, si capì come il passaggio della macchina all’aeroporto di Baghdad fu fatto passare da “anonimi” agli americani come l’imminente arrivo di un autobomba. Gli “anonimi” potrebbero essere stati i rapitori iracheni, che così facendo, avrebbero ottenuto un doppio successo: anzitutto i soldi del riscatto, poi il fuoco amico dei militari USA sugli agenti italiani.

Il Dipartimento di Giustizia di Washington negò sempre il processo del proprio cittadino in Italia. Dopo una breve apertura del processo – tuttavia impossibilitato a proseguire ufficialmente per “difetto di giurisdizione” – nel 2007 la Corte suprema di cassazione ha posto la proverbiale pietra tombale sul caso.