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Foto del giorno: tra le rocce di Perquín si combatte per la libertà

Foto del giorno: tra le rocce di Perquín si combatte per la libertà

Fotografia di anonimo, Perquín, El Salvador, marzo 1985. Un combattente armato di mitraglia intento a lottare per la sua causa. Il sangue scorrerà copiosamente a El Salvador, per ben 13 anni, fino agli accordi di pace di Chapultepec. Alla fine saranno circa 27.000 i morti e, in tutto, circa 75.000 le vittime del conflitto. Per non parlare degli sfollati e dei rifugiati in altri paesi che, insieme, superarono il milione di persone.

Foto del giorno: tra le rocce di Perquín si combatte per la libertà

Procediamo con ordine e capiamo insieme dove si trova, prima di ogni cosa, El Salvador. Parliamo di una nazione dell’America Centrale, che confina con Guatemala e Honduras. Piccola curiosità: El Salvador è l’unico Paese del Mesoamerica a non avere sbocco sul Mar dei Caraibi (avendo solo quello sul Pacifico). Ora che abbiamo inquadrato geograficamente il posto, andiamo alla domanda più saliente: perché scorse così tanto sangue e per così lungo tempo?

La guerra civile di El Salvador si combatté tra il 1979 e il 1992, date che agli occhi dei più arguti non passeranno inosservate. Sono questi infatti gli anni dell’Operazione Condor, nome in codice del piano americano di influenza nel Sudamerica. Parliamo chiaramente di influenza politica volta a limitare, e se possibile ad evitare proprio, la formazione di governi comunisti o comunque considerabili “sovversivi“. Si stima che le amministrazioni di Reagan e Carter riversarono circa 1-2 milioni di dollari al giorno per il supporto al governo di destra del presidente Carlos Humberto Romero.

Perquín foto Reagan

Tutto bello e liscio, almeno fino al 15 ottobre del 1979. Quel giorno infatti Romero perse il posto o, per meglio dire, fu buttato via dalla sedia. Saliva al potere la nuova Giunta Rivoluzionaria di Governo, che ammiccava, chiaramente, all’URSS. Le forti disuguaglianze sociali e la povertà estrema di determinati contesti avevano favorito infatti la creazione di un forte e pericoloso fronte di opposizione popolare interno che, con aiuti sovietici, divenne davvero preoccupante.

Per il governo di destra, per la CIA e per gli States, il male aveva un nome ben preciso (e un po’ lunghetto). Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale, abbreviato FMLN. Farabundo Martí era un rivoluzionario salvadoregno e i combattenti a lui si ispirarono nel colpo di stato e nella scelta del nome. Tutto bello e glorioso, fino a quando Reagan e gli USA non cominciarono a fare sul serio. Armi, munizioni, mezzi e soldi arrivarono a frotte dagli States. Per non farsi mancare nulla, ci furono anche dei veri e proprio squadroni della morte che seminavano il panico (e la morte appunto!) nelle aree più rurali dove il FMLN era più radicato.

Perquín immagine scontri

Alla fine, dopo 13 anni di conflitto che insanguinarono soprattutto la zona orientale del Paese (dove fu scattata la foto del giorno di oggi), si arrivò ad una pace mediata dall’ONU. I ribelli smobilitarono il loro esercito e indicarono la posizione dei loro arsenali. I “governativi” smobilitarono anche il proprio esercito e, soprattutto, gli squadroni della morte. Da quel 1993, sotto la sorveglianza internazionale, tutte le elezioni salvadoregne furono democratiche e il paese, a sue spese, divenne “democratizzato”. Come al solito questo termine comporta migliaia di morti e fiumi di sangue, oltre che ingerenze esterne. Dannate ingerenze esterne!