Almanacco del 16 novembre, anno 1776: una guarnigione dell’esercito continentale americano asserragliato dentro Fort Washington, sull’isola di Manhattan, cede all’assalto di un contingente militare anglo-assiano, sotto il comando di William Howe. Dopo la batosta inferta, i britannici occuparono la città di New York e il New Jersey orientale, pedinando al contempo l’armata di George Washington in fuga verso la Pennsylvania. L’evento del 16 novembre 1776 rappresenta uno dei cardini storici attorno a cui ruota la vicenda della guerra d’indipendenza americana (1775-1783).

La storia in parte già la conosciamo, ma è scendendo nel dettaglio che si possono cogliere alcuni particolari ignoti ai più. Dopo la dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio, la giovane repubblica americana dovette affrontare la potenza militare più formidabile del mondo: l’Impero britannico. L’isola di Manhattan, per la sua posizione dominante sul fiume Hudson, costituiva un punto strategico essenziale. Controllare quel tratto di fiume significava infatti assicurarsi le vie di rifornimento tra il New England (quindi Boston) e le colonie meridionali, oltre che impedire ai britannici di isolare le province ribelli.
Per questo motivo, durante l’estate del 1776, gli americani iniziarono la costruzione di Fort Washington, situato all’estremità settentrionale di Manhattan, su un’altura che dominava il corso del fiume. Il forte era concepito per agire in tandem con Fort Lee, situato sulla sponda opposta del New Jersey. Le due postazioni dovevano impedire alle navi britanniche di risalire l’Hudson.

Nonostante la posizione elevata e la visione strategica dei comandanti, il forte presentava gravi debolezze strutturali. Il terreno roccioso impediva la costruzione di veri fossati difensivi e le mura, realizzate in terra, offrivano una protezione limitata contro l’artiglieria pesante. Tuttavia, i generali rivoluzionari si convinsero che, se ben presidiato, il forte avrebbe resistito ad un assedio prolungato.
Le settimane precedenti alla battaglia furono segnate da una serie di sconfitte per l’esercito continentale. Dopo la disastrosa ritirata da Long Island e la perdita di New York in settembre, George Washington aveva tentato di riorganizzare le sue truppe nell’entroterra, ma fu nuovamente battuto nella battaglia di White Plains (28 ottobre 1776).
A quel punto, il comandante in capo americano affrontò un difficile dilemma strategico: abbandonare Fort Washington per salvare gli uomini o mantenerlo nella speranza di rallentare l’avanzata britannica. Washington, pur propenso alla ritirata, lasciò la decisione finale al generale Nathanael Greene, comandante della zona.

Greene, forse troppo ottimista, convinse Washington che il forte poteva ancora resistere. Il colonnello Robert Magaw, al comando diretto della guarnigione – inizialmente di 1.200 uomini, poi cresciuta fino a oltre 3.000 – assicurò ai suoi superiori che avrebbe difeso la posizione “fino all’ultimo”. L’immediatezza dei fatti gli avrebbero dato torto.
Il generale William Howe, comandante delle forze britanniche in Nord America, decise di eliminare la resistenza americana a Manhattan con un attacco combinato. Il suo esercito contava circa 8.000 uomini, tra cui un gran numero di mercenari tedeschi dell’Assia, comandati dal generale Wilhelm von Knyphausen.
All’alba del 16 novembre 1776, i cannoni britannici e assiani aprirono il fuoco contro le batterie americane sulle colline circostanti. Le navi britanniche bombardarono il forte dal fiume Hudson. L’attacco di fanteria cominciò poco dopo. Gli americani opposero una resistenza accanita, in particolare sul fianco settentrionale. Ma, col passare delle ore, la pressione britannica divenne insostenibile.

Quando le difese esterne crollarono e il fuoco delle navi britanniche distrusse le batterie del forte, Magaw si trovò completamente circondato. Washington, che osservava impotente dalla sponda opposta del fiume presso Fort Lee, inviò un messaggio chiedendo di resistere fino al calare della notte, nella speranza di evacuare le truppe con il favore dell’oscurità. Ma era ormai troppo tardi.
Dopo brevi trattative, Magaw capitolò. Alle quattro del pomeriggio del 16 novembre 1776, la bandiera americana venne ammainata e sostituita con l’Union Jack. Il bilancio fu abbastanza pesante (almeno per le guerre settecentesche, dove non si mirava all’annientamento del nemico, ma alla sua sconfitta sul campo). 59 morti e 96 feriti americani, ma soprattutto 2.837 prigionieri. Se vi sembrano numeri abbastanza ridotti, pensate che la sola perdita di Fort Washington privava l’esercito continentale di quasi un quarto degli uomini disponibili in quel momento. Britannici e assiani subirono, complessivamente, poco più di 450 tra morti e feriti.

La resa fu seguita da scene di brutalità: molti soldati americani vennero spogliati dei propri effetti personali, percossi e rinchiusi in condizioni disumane nelle prigioni di New York, dove la fame e le malattie fecero strage. Dei quasi 3.000 prigionieri, solo 800 sopravvissero abbastanza a lungo da essere scambiati un anno e mezzo più tardi.
La perdita di Fort Washington fu un colpo devastante per il morale americano. Tre giorni dopo, si abbandonò anche Fort Lee. In poche settimane, gli inglesi controllavano l’intera area di New York e del New Jersey orientale. Il sogno americano dell’indipendenza sembrava sul punto di svanire. Eppure, proprio da quella sconfitta nacque la riscossa.




