Almanacco del 13 novembre, anno 1893: all’interno di un cafè di Parigi, il 19enne anarchico Léon Léauthier accoltella il diplomatico serbo Rista Georgevitch. L’atto, lungamente premeditato e mosso da un’indiscriminata collera vendicativa, è considerato dagli storici come uno dei primi casi di terrorismo moderno.

Nel XIX secolo l’anarchismo emerse, si sviluppò e si diffuse praticamente in tutta Europa. Sebbene l’evoluzione del movimento anarchico abbia condotto alla nascita di differenti filoni di pensiero, talvolta fra di loro in nettissimo contrasto ideologico, resta comunque una matrice storica possibile da inquadrare. Tendenzialmente, gli anarchici sostenevano una lotta contro qualunque forma di organizzazione statale, e più in generale, contro ogni tipo di dominio percepito come ingiusto. L’esempio maggiormente noto è quello dell’avversità al dominio del sistema capitalistico. Ma non è l’unico.
In Francia si venne a delineare un caso di conflittualità a sé rispetto al resto del continente. L’anarchismo transalpino era uno dei più influenti ed aspra era la sua contrapposizione alla Terza Repubblica. Dal 1891 si verificarono degli episodi – il massacro di Fourmies e l’affaire de Clichy – nei quali la tensione sociale, esasperata dall’ostilità operai-polizia, toccò vette mai guadagnate prima.

Si citano questi due eventi, oltre all’attentato del 13 novembre 1893, come i fattori scatenanti (o comunque essenziali) della cosiddetta “Ère des attentats“, l’epoca degli attentati, o periodo degli attacchi anarchici francesi. Un biennio, dal 1892 al 1894, in cui la violenza politica, come quella concreta – nelle strade, nelle fabbriche, nei luoghi pubblici – divenne la consuetudine.
In un simile contesto, Léon Léauthier, nato nel 1874 in Alta Provenza e trasferitosi nella capitale Parigi nei primi anni ’90 per lavorare come calzolaio, assunse, quasi un po’ per caso, un ruolo di assoluto rilievo. Nel settembre del 1893 perse il lavoro e cadde in una spirale di depressione. Già da prima condivideva i principi dell’anarchismo e in tal senso si riteneva un attivista, oltre che un militante. Il giorno prima di agire, scrisse una lettera in cui confessava le ragioni del violento gesto che avrebbe compiuto. Imputò la scelta ad un desiderio di vendetta, covato nei confronti di una società, di uno Stato, e di un sistema profondamenti iniqui e diseguali.

La sera del 13 novembre 1893 cenò al Bouillon Duval. Dopo aver consumato il pasto ed essersi alzato dal tavolo, tirò fuori il coltello e mirò al petto di Rista Georgevitch. Quest’ultimo era un membro dell’ambasciata serba in Francia. Léauthier non lo sapeva, e in realtà non aveva intenzione di colpire lui nello specifico. Già nella lettera del giorno antecedente aveva specificato di voler “scegliere un magistrato” ma di non conoscerne, e quindi di dover protendere “per il primo borghese che incontrerò”. L’attentato del 13 novembre 1893 è per questo il primo esempio di atto terroristico indiscriminato della storia contemporanea.
“Colpendo a caso” – come ebbe a dire un altro anarchico, Émile Henry, in un altro processo a suo carico per condotta violenta – Léon Léauthier divenne il capostipite di una nuova forma di terrorismo. Nuova perché rivolta ad un nemico ideale (nel suo caso la borghesia capitalista), oggettivato in un suo presunto rappresentante (il diplomatico serbo).

I destini del giovane anarchico francese e dell’agente diplomatico serbo si incrociarono casualmente quella sera, ma poi presero strade completamente diverse. Georgevitch sopravvisse all’accoltellamento. Non sappiamo che ne fu di lui dopo l’episodio. Léauthier si costituì, andò a processo e finì condannato all’ergastolo da scontare in una colonia penale. Morì fucilato dalle guardie carcerarie a Saint-Joseph, una delle isole della Salvezza, al largo della Guyana francese, il 22 ottobre 1894.




