Almanacco del 2 ottobre, anno 1937: in Repubblica Dominicana ha inizio il “massacro del prezzemolo”, un esplicito e volontario atto genocidario compiuto a danno della popolazione civile haitiana. Bastarono cinque giorni per soddisfare la sete di sangue del dittatore populista dominicano Rafael Leónidas Trujillo Molina, diretto responsabile dello sterminio di circa 30.000 haitiani residente in Repubblica Dominicana.

Quello di Rafael Leónidas Trujillo Molina, ex generale dell’esercito asceso alla presidenza con un colpo di stato (chi l’avrebbe mai detto…) nel 1930, era un nazionalismo esasperato, dalla retorica xenofoba carica di violenza. In un suo discorso pubblico del 1937, infatti, descrisse gli haitiani come “sporchi”, “ladri di bestiame” e “praticanti del Vudù”, contrapponendo alla loro identità africana e francofona quella che voleva imporre come essenza “occidentale e cattolica” dei dominicani. Questo linguaggio incendiario trovò terreno fertile in una società già segnata da tensioni etniche, economiche e culturali.
Con queste premesse, il 2 ottobre 1937 l’autoproclamatosi Generalísimo y Benefactor del Pueblo emanò il fatidico ordine. Per gli haitiani non c’era più posto in Repubblica Dominicana. Il loro sterminio era non solo lecito, ma auspicabile e incentivato. Sull’isola caraibica prese avvio una caccia all’haitiano dai toni orrorifici.

Il metodo scelto per distinguere le vittime è rimasto tristemente emblematico. I soldati costringevano le persone fermate a pronunciare la parola spagnola perejil (prezzemolo). La difficoltà dei francofoni nell’articolare correttamente la “r” e la “j” rivelava, agli occhi degli esecutori, l’origine haitiana. Bastava quell’errore linguistico per essere immediatamente condannati a morte. Gli ispanici lo chiamarono El Corte (letteralmente, “il taglio”). Mentre ad Haiti l’evento del 3 ottobre ’37 ha un altro nome: Kouto-a (“coltello”). La storiografia occidentale lo ricorda come il massacro del prezzemolo.
Le uccisioni furono condotte prevalentemente con armi bianche – machete, coltelli, bastoni – per dare l’impressione che si trattasse di una ribellione popolare dei contadini dominicani contro gli haitiani, e non di un piano statale. In realtà, le indagini successive dimostrarono che si utilizzarono anche armi da fuoco dell’esercito, smascherando la responsabilità diretta del regime. Gli autori dell’eccidio abbandonarono i cadaveri nelle campagne o gettati nel Rio Dajabón. Il fiume segna il confine tra Haiti e la Repubblica Dominicana. In alcune carte geografiche lo potete scorgere anche come Rio Masacre. Non serve spiegare perché.

In soli cinque giorni trovarono la morte violenta fra i 20.000 e i 30.000 haitiani. Molti di loro erano nati in Repubblica Dominicana e appartenevano a comunità consolidate da generazioni. L’azione non colpì dunque solo immigrati, ma anche cittadini dominicani considerati “culturalmente” haitiani.
Le conseguenze furono immediate e gravi. Il governo haitiano protestò duramente, e anche gli Stati Uniti, che avevano interessi strategici nell’isola, condussero accertamenti che confermarono il coinvolgimento diretto dell’esercito. Trujillo, nel tentativo di evitare un conflitto internazionale, accettò di pagare un’indennità ad Haiti di 29 dollari per ogni vittima ufficialmente riconosciuta. Una cifra che rivelava tanto la volontà di chiudere rapidamente la questione quanto la disumanizzazione con cui erano state trattate le vite perse. 29 miseri dollari: ecco quanto può valere una vita umana…

Dopo il massacro, il regime trujillista rafforzò il controllo sulle frontiere e ridusse drasticamente l’immigrazione haitiana, promuovendo al tempo stesso grandi opere pubbliche nelle zone di confine per consolidare l’influenza dominicana. Ma l’ombra di quel genocidio rimase: segnò profondamente i rapporti tra Haiti e Repubblica Dominicana, alimentando diffidenze, stereotipi e tensioni che non si sono mai del tutto sopite.
La carneficina iniziata il 2 ottobre 1937 non fu solo un’esplosione improvvisa di violenza, ma un vero e proprio atto politico calcolato, con cui Trujillo intendeva ridisegnare l’identità della Repubblica Dominicana eliminando fisicamente la presenza haitiana. Un episodio che mostra come il nazionalismo, combinato con razzismo e autoritarismo, possa tradursi in una tragedia di proporzioni immense in tempi rapidissimi.