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Quella volta in cui i Crociati devastarono una città cristiana

Quella volta in cui i Crociati devastarono una città cristiana

Della Quarta Crociata e della sua conclusione tutt’altro che prevedibile si è scritto e si è detto tanto, soprattutto in storiografia. Che quella dovesse essere una “guerra santa” diversa dalle precedenti – e se per questo, diversissima dalle successive – lo si capì già in fase d’organizzazione. Un papa scalpitante di voler ascrivere il proprio nome sull’albo dei successi crociati, una classe di comando opportunista e poco interessata al principio fondante del “santo pellegrinaggio” e una città, Zara, che ebbe l’unica colpa di essersi allontanata dalla sfera d’influenza veneziana per abbracciare la causa magiara, furono gli ingredienti perfetti per un avvenimento inedito nell’ambito delle crociate stesse. Perché mai prima di allora i crociati avevano osato mettere a ferro e fuoco una città cattolica.

Quella volta in cui i Crociati devastarono una città cristiana

Prendiamola alla lontana. Quando Innocenzo III salì al soglio pontificio nel 1198, il suo primo grande progetto fu quello di rilanciare l’idea crociata. Il papa immaginava una spedizione universale, capace di riportare Gerusalemme sotto il controllo cristiano dopo la caduta del 1187 ad opera del Saladino. L’appello inizialmente non accese grandi entusiasmi, ma il torneo di Ecry-sur-Aisne del 1199 mutò l’aria: tra i cavalieri francesi, la causa crociata tornò a brillare come un’impresa di fede e di onore.

La macchina organizzativa si mosse verso Venezia, potenza navale per eccellenza, che i baroni crociati scelsero come base per l’allestimento della flotta. Con uno sforzo colossale, la Serenissima armò oltre 300 navi in poco più di un anno, un prodigio che lasciò sbalorditi i contemporanei. Villehardouin, cronista e protagonista della spedizione, non esitò a scrivere che mai si era vista una flotta più imponente, mentre Robert de Clary parlava di un’armata senza precedenti.

Eppure, al momento della partenza, emerse un ostacolo insormontabile. I crociati non erano in grado di onorare l’impegno economico preso con Venezia. Il doge Enrico Dandolo, vecchio di novantacinque anni ma ancora lucido e risoluto, aveva pattuito il trasporto di 30.000 uomini in cambio di 85.000 marchi d’argento. In realtà, solo un terzo dei soldati promessi si era radunato e i fondi raccolti non superavano la metà del dovuto. La Serenissima, che aveva investito quasi tutte le proprie risorse nell’impresa, non era disposta a rimetterci.

Crociati doge Enrico Dandolo

Fu allora che Dandolo colse l’occasione per piegare la spedizione ai propri interessi. Propose ai crociati un compromesso; uno di quelli che “non si possono rifiutare”. Il debito sarebbe stato rinviato, ma in cambio l’esercito avrebbe aiutato il Ducato di Venezia a riconquistare Zara, città della Dalmazia ribellatasi al dominio lagunare e posta sotto la protezione del Regno d’Ungheria. Zara non era solo una piazzaforte strategica nell’Adriatico, ma anche un centro nevralgico dei traffici marittimi. Insomma, per Venezia il suo possesso era vitale.

L’accordo sancì la prima deviazione della crociata. Molti cavalieri, consapevoli che Zara era una città cristiana e che Innocenzo III aveva vietato espressamente di combattere contro altri fedeli, ebbero dubbi e scrupoli di coscienza. Pochi, come Simon de Montfort, rifiutarono e si ritirarono. La maggioranza, però, accettò di piegarsi alle richieste del doge, pur tra esitazioni e reticenze.

Crociati Innocenzo III

Ai primi di ottobre del 1202 la grande flotta salpò. Lo spettacolo era impressionante: secondo Robert de Clary, il mare pareva brulicare di vele e stendardi, e l’entusiasmo dei soldati era incontenibile. Lungo la rotta, le città ribelli dell’Adriatico – Trieste, Muggia, Pola – caddero rapidamente sotto il controllo della coalizione. Entro l’11 novembre l’armata franco-veneziana era davanti a Zara.

L’assedio si aprì tre giorni dopo. Le mura alte e possenti della città impressionarono i crociati, che si domandavano se fosse possibile conquistarla senza un miracolo divino. Ma le difese zaratine, pur agguerrite, nulla potevano contro un esercito così imponente e una flotta così ben equipaggiata. I veneziani attaccarono dal mare, con scale issate dalle navi e macchine d’assedio che colpivano le mura; da terra, i cavalieri francesi circondarono la città, mentre gli zappatori minavano le torri. Dopo cinque giorni, Zara dovette arrendersi. Gli abitanti chiesero solo di salvare la vita, ma nulla li protesse dal saccheggio che seguì.

Crociati assedio di Zara 1202

Francesi e veneziani si spartirono la città, dividendosi quartieri e alloggi. Ma la convivenza forzata degenerò presto in tensioni, accuse reciproche e persino scontri armati. Servirono giorni interi per ristabilire un minimo di ordine. Nel frattempo, Innocenzo III, venuto a sapere della presa di Zara, scomunicava i crociati, accusandoli di empietà per aver combattuto contro cristiani e ordinando la restituzione del maltolto. Solo i francesi ottennero in seguito il perdono; i veneziani, considerati i veri responsabili della deviazione, rimasero colpiti dalla condanna papale.

La conquista di Zara segna una svolta decisiva: la quarta crociata, nata con l’obiettivo di liberare Gerusalemme, aveva già perso la sua direzione originaria. Da quel momento in poi, la spedizione sarebbe stata sempre più segnata dagli interessi politici e commerciali, fino all’inevitabile, tragico epilogo di Costantinopoli.