Certamente uno dei periodi più scuri e drammatici della storia contemporanea di Sarajevo è stato quello dell’assedio, durato ininterrottamente dalla primavera del 1992 fino ai primissimi mesi del 1996. In quello che è stato definito come l’assedio più lungo e cruento della modernità, i cittadini della capitale bosniaca vissero momenti di terrore, scaturiti dall’isolamento, dal fragore delle bombe, dal tiro dei cecchini, dalla morte. Eppure l’essere umano sa farsi forza nei casi di estrema precarietà e tenta di reagire con tutti i mezzi a disposizione. I sarajevesi sfuggirono agli orrori della guerra anche e soprattutto grazie ad una piccola emittente radiofonica indipendente, in grado di rappresentare una voce libera, cosmopolita e progressista; un baluardo – seppur contenuto nella misura – contro le ingiustizie del conflitto, in antitesi rispetto alla propaganda nazionalista e ostinatamente avverso alla disintegrazione del tessuto sociale jugoslavo. Questa è la storia di una speranza chiamata Radio Zid.

Nel 1992, dopo il riconoscimento internazionale dell’indipendenza della Bosnia-Erzegovina, la capitale Sarajevo si trovò improvvisamente circondata dalle forze serbo-bosniache e sottoposta a un bombardamento continuo che durò per 1.425 giorni. Prima della guerra, Sarajevo era sinonimo di convivenza interetnica e interreligiosa. La capitale era casa per bosgnacchi (bosniaci musulmani), serbi, croati, ebrei e altre millemila minoranze. Ci si destò dal sogno multiculturale quando le logiche della pulizia etnica e dell’omologazione identitaria prevalsero. Logiche che sfregiarono materialmente e metaforicamente il volto di Sarajevo. Penso che le immagini del tempo siano ancora impresse nella mente di tutti.
In un simile scenario, dove i mezzi di informazione erano pesantemente condizionati dalla propaganda e dove la vita quotidiana era dominata dalla paura, dalla fame e dalla mancanza di beni primari, emergere come voce indipendente e antinazionalista significava esporsi al pericolo in prima persona. Non fu un problema per una radio che si ergeva a “muro” (“Zid” significa proprio questo, muro) protettivo delle legittime, anzi, sacrosante prerogative socio-culturali dei sarajevesi.

Allora, come nacque Radio Zid? La radio indipendente venne alla luce sul tramontare del 1992. L’iniziativa fu del professore bosniaco Zdravko Grebo. Un giurista, nonché intellettuale di orientamento liberale e cosmopolita. Già prima dello scoppio del conflitto Grebo si era distinto per il suo netto rifiuto nei confronti delle retoriche nazionaliste. Radio Zid fu il tentativo di preservare la Sarajevo aperta, libera, colta e multiculturale che stava scomparendo sotto i colpi dei mortai, i tiri incrociati dei cecchini e il gergo dell’odio.
A comporre la redazione erano giovani, talvolta giovanissimi sotto i 20 anni, di gruppi etnici differenti. Essi raggiungevano gli studi radiofonici a piedi, schivando le occasioni di morte divenute triste ordinarietà. Alcuni di loro morirono per questo impegno. Solo per dovere di cronaca e forma di rispetto personale, si citi il nome del 24enne Karim Zaimović, ucciso mentre si recava negli studi improvvisati di Radio Zid.

L’emittente offriva un palinsesto incentrato sul valore della cultura, dell’informazione libera e della denuncia politica. Radio Zid andava in onda 24 ore su 24. Si parlava di attualità, nuda e cruda, di ciò che succedeva nel Paese, nella capitale, ai suoi abitanti. Accesa era la critica al nazionalismo, vera peste disgregatrice, ragione prima ed ultima della vita di pochi e della morte di tanti. Chi parlava dai microfoni, forniva un’informazione oggettiva e pluralista, in netto contrasto con le narrazioni militarizzate delle emittenti ufficiali. Si diede grande risalto alla prospettiva estera del conflitto jugoslavo e questo contribuì alla costruzione di una certa idea immune da faziosità e distorsioni varie.
Ma Radio Zid andava oltre, non limitandosi alla cronaca quotidiana di guerra. Trovavano spazio programmi educativi per bambini che non potevano andare a scuola. Importante il sostegno alla musica e alla cultura alternativa, con un palinsesto musicale radicale, che rifiutava tanto la musica commerciale quanto la musica jugoslava in chiave nostalgica o nazionalista. E poi gli eventi musicali live, sopravvissuti all’assedio e che, anche se in forma diversa, vengono organizzati tutt’oggi.

È fondamentale ricordare una cosa, altrimenti si finisce per ignorare l’essenza di quanto fatto da Radio Zid. Queste attività non avevano soltanto valore estetico o artistico, ma costituivano un atto di resistenza politica. Non era un caso che gli stessi serbo-bosniaci avessero preso di mira simboli culturali. Si citi il caso della Biblioteca Nazionale, colpita nell’agosto 1992 con proiettili incendiari, nel tentativo di annientare la memoria condivisa della Bosnia multiculturale. A questo “culturicidio”, Radio Zid rispondeva così, con programmi che celebravano il pluralismo, la memoria e la creatività.
Un’emittente del genere godeva tanto del sostegno popolare quanto soffriva delle antipatie governative ed extra-governative. Noto è il tentativo posto in essere dall’esecutivo provvisorio bosniaco di “azzoppare” la radio, considerata pericolosa perché antinazionalista e fin troppo progressista. Nel ’95 il governo arrivò a minacciare l’arruolamento forzato di alcuni conduttori, poi ritirato dopo le proteste della cittadinanza e della comunità internazionale.

La guerra finì nel dicembre 1995 con gli Accordi di Dayton, e Sarajevo iniziò un lento e doloroso processo di ricostruzione. Radio Zid resistette ancora per qualche anno, ma alla fine chiuse definitivamente – anche se alcuni dei suoi protagonisti continuarono a operare in ambito culturale locale. Oggi, le sue frequenze sono utilizzate da Radio Sarajevo, un’emittente commerciale che conserva nel nome una memoria importante, ma non ne eredita l’anima. Perché Radio Zid, luce nell’oscurità della guerra, fu unica ed irripetibile.