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Foto del giorno: Hans Meyer alla conquista del Kilimangiaro

Fotografia del Dr. Wolfgang PFÄFFL, Territorio britannico del Tanganica, Africa orientale, 1889 circa. Nella fotografia possiamo vedere il dottor Hans Meyer in visita presso la famiglia di Meli. L’esploratore, in procinto di partire per la sua scalata del Kilimangiaro, si trova vicino al futuro capo Meli, ancora bambino.

Hans Meyer e la prima scalata del Kilimangiaro

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Crediti foto: @Dr. Wolfgang PFÄFFL, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Il Kilimangiaro è uno stratovulcano formato da tre crateri. Creatosi più di 500mil anni fa, si compone del cratere Shira (3.692 metri di altezza), del cratere Mawenzi (5.149 metri di altezza) e del cratere Kibo (5.895 metri di altezza). I primi due crateri sono bocche estinte, mentre il Kibo è considerata una bocca dormiente (anche se la sua ultima eruzione risale a 300mila anni fa). Il che vuol dire che l’attività vulcanica del Kilimangiaro non è mai finita e piccole emissioni e scosse sismiche ogni tanto sono registrate vicine al Kibo.

Fra il Kibo e il Mawenzi si trova la “sella dei venti”, una tundra di 3.600 ettari, mentre in cima alla montagna abbiamo il ghiacciaio di Rebmann. La prima scalata documentata risale al 1889. Tuttavia questo non vuol dire il vulcano non fosse noto prima di allora.

A parte le popolazioni africane, anche l’astronomo greco Tolomeo parlò di una “grande montagna di neve” avvistata nelle terre a sud della Somalia. Passarono i secoli e, intorno al 1100, alcuni commercianti cinesi riportarono l’avvistamento di una enorme montagna a ovest di Zanzibar. Successivamente furono gli Arabi a citarla, ma la scoperta ufficiale del Kilimangiaro dovette attendere il 1840.

Una spedizione inglese scoprì il vulcano durante una missione volta a cercare le sorgenti del Nilo. Successivamente Johann Rebmann, esploratore e missionario tedesco, arrivò a vedere da vicino la montagna (da lui prende il nome il ghiacciaio sulla sua sommità).

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Crediti foto: @Themanwithoutapasta, Public domain, via Wikimedia Commons / Höffert, Public domain, via Wikimedia Commons

Ma veniamo alla scalata. Un primo tentativo fu fatto nel 1887 dal geografo Hans Meyer e dal barone von Eberstein, ma nulla di fatto: le difficoltà incontrate durante la scalata (non si erano portati dietro l’equipaggiamento necessario per superare la neve e il ghiaccio del Kibo) e il mal di montagna interruppero l’esplorazione.

Meyer però non si arrese e ci riprovò nel 1889. Questa volta ad accompagnarlo c’era l’alpinista Ludwig Purtscheller e la guida Yohani Kinyala Lauwo. Questo secondo tentativo ebbe successo. Il terzetto salì lungo il versante sud-est, allestendo un campo base ai piedi della montagna. Poi allestirono un altro campo a 4.300 metri e da qui partirono per cercare di raggiungere la vetta.

La scalata verso la vetta iniziò intorno all’una di notte. Solamente alle 10 del mattino riuscirono ad arrivare alla base della calotta glaciale della vetta. La scalata da qui in poi non fu facile. Le pendenze erano notevoli. Per superare l’ostacolo impiegarono un paio di ore.

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Concluso con successo il passaggio di quel tratto, ecco che arrivarono in una zona pianeggiante. Apparentemente la loro scalata si era semplificata, ma non fu così. La zona era effettivamente in pianura, ma era anche ricoperta da neve molle che arrivava loro alla vita. Procedere era difficile e faticoso e si stancarono così tanto che arrivati a 150 metri dalla vetta dovettero rinunciare.

Tre giorni dopo, però, riprese le forze, ci riprovarono, facilitati anche dal fatto che ormai avevano trovato la via di salita e che gli sarebbe bastato seguire le tracce precedenti. Così, finalmente, alle ore 10.30 del 24 settembre del 1889 riuscirono finalmente ad arrivare in cima: la vetta del Kilimangiaro era stata conquistata per la prima volta.