Storia Che Passione
L'ex schiavo che chiese al precedente padrone gli "arretrati" di 52 anni di lavoro

L’ex schiavo che chiese al precedente padrone gli “arretrati” di 52 anni di lavoro

Da qualche anno ormai due ricercatori di Harward, Allen G. Breed e Hillel Italie, pubblicano saggi di carattere storico-sociologico in cui approfondiscono un campo di studi abbastanza inedito: quello dell’umorismo schiavile. Avvicinandomi alla tematica, sono incappato in quello che ritengo essere l’esempio perfetto capace di descrivere a pieno la tematica. Si tratta di una lettera, recante la firma di Jourdan Anderson e datata 1865. Nella missiva, Anderson, un ex schiavo del Tennessee, libero solo dal 1864, risponde ad una proposta di lavoro avanzata – incredibile a dirsi – dal precedente padrone. Se già di per sé il contesto è alquanto ironico, assume contorni possibilmente più sarcastici quando si analizza il contenuto della lettera. Lo faremo assieme quest’oggi, anche per dare credito ad una microscopica corrente di studi che ritengo sinceramente valida e degna di essere pubblicizzata.

L'ex schiavo che chiese al precedente padrone gli "arretrati" di 52 anni di lavoro

Il riferimento cronologico avrà acceso nella vostra testa una spia, e non vi si può dire nulla: il 1865 è un anno tipicamente importante per la storia dell’Occidente, in particolare per quella degli Stati Uniti d’America. Terminata la guerra civile, con esito favorevole per gli stati del nord, si andò incontro allo smantellamento – progressivo e non istantaneo, come spesso erratamente si tende a credere – del sistema schiavistico americano. Sì, agli atti la ratifica del XIII Emendamento della Costituzione nel dicembre del 1865 abolì formalmente la schiavitù. Eppure questi sono processi che nella praticissima quotidianità tendono ad esprimersi secondo tempistiche più dilatate.

La dimostrazione letterale di questo fondamentale assunto si trova spesso inscritta nei testi storici aventi per oggetto l’abolizionismo e tutte le sue sfaccettature: libertà formale non significava libertà sostanziale. Nel periodo post-bellico, al quale la storiografia anglofona si riferisce col termine Recostruction (Ricostruzione), molti ex proprietari di schiavi cercarono di riassumere al proprio servizio la cara buon vecchia manodopera a costo zero. Spesso con forme contrattuali apparentemente legittime, ma in realtà coercitive o svantaggiose. Ed è in questa esatta casistica che si inserisce la vicenda di Jourdan Anderson, della proposta lavorativa del precedente padrone e della splendida lettera di risposta.

Ma chi era Jourdan Anderson? Quale fu la sua storia e quali le dinamiche che lo condussero nel 1865 a rispondere nella maniera più epica possibile al nostro rinnovato datore di lavoro? Jourdon Anderson era un afroamericano nato già in catene intorno al 1825, da quel che sappiamo nello Stato del Tennessee. Fu schiavo della famiglia del colonnello Patrick Henry Anderson, proprietario terriero e probabilmente anche proprietario di una piantagione nella contea di Big Spring, vicino Nashville.

ex schiavo capanna piantagione America

Nel 1864, mentre le truppe unioniste penetravano il ventre molle del Sud, un gruppo di soldati in giubba blu incontrò Jourdon e lo liberò. Così egli si trasferì a Dayton, Ohio, insieme alla moglie Amanda e ai loro figli. In Ohio fece lavori di fortuna: prima il cocchiere, poi servitore. Pur sempre in condizioni di dignitosa libertà, ricevendo un salario regolare.

Nell’agosto del 1865, il colonnello P.H. Anderson, probabilmente in difficoltà economiche dopo la fine del conflitto secessionista e la liberazione dei suoi schiavi, scrisse una lettera a Jourdon, chiedendogli di tornare a lavorare nella sua tenuta. La missiva originale non è sopravvissuta. Al contrario, la risposta che Jourdon scrisse è stata conservata, resa pubblica da un quotidiano di Cincinnati e per questo divenuta celebre.

Leggendo il contenuto, si possono notare diversi peculiarità; spunti di riflessione se volete. Anzitutto l’oramai libero Jourdon sembra contento di ricevere le attenzioni del colonnello. Penna alla mano, prosegue descrivendo la sua vita a Dayton, che scorre lenta ma serena, normalmente insomma, come quella di un comune cittadino americano. Poi dice grazie a chi ha potuto assaggiare il novizio sapore della libertà (un maresciallo generale di Nashville).

ex schiavo tombe di Jourdan e Amanda Anderson

Ma è con l’attacco “…mi sono sentito spesso a disagio nei vostri confronti” che Jourdan dà il via ad un capolavoro di ironia mordace. Dopo il sottile rimprovero, l’ex schiavo si finge disposto a tornare, ad una condizione però: il pagamento retroattivo dei salari non ricevuti nei 52 anni di lavoro non retribuiti. Praticamente chiede gli arretrati per lui (32 anni di lavoro) e la moglie (20 anni di lavoro).

Segue l’estratto integrale del testo: “Mandy dice che avrebbe paura di tornare da voi senza qualche prova che siate disposti a trattarsi in modo giusto e gentile. Abbiamo concluso di testare la vostra sincerità chiedendovi di mandarci i salari per il tempo che vi abbiamo servito” – prosegue l’ex schiavo – “Confidiamo che il buon Creatore vi abbia aperto gli occhi sui torti che voi e i vostri padri avete fatto a me e ai miei padri, facendoci faticare per voi per generazioni senza ricompensa”.

Slave Humor, umorismo schiavile, in tutta la sua magnifica spontaneità. Per molti anni ci sono stati dubbi sull’autenticità della lettera. Qualcuno ha ipotizzato che fosse stata scritta da un giornalista bianco come pezzo satirico. Tuttavia, ricerche storiche – alcune delle quali recentissime – hanno confermato l’esistenza reale di Jourdon Anderson e di sua moglie Amanda.