L’ottava delle dodici Fatiche di Ercole fu leggermente diversa dalle precedenti. Non doveva uccidere mostri terribili o pulire stalle sporche da anni. Questa volta re Euristeo decise di cambiare genere: Ercole avrebbe dovuto rubare le cavalle di Diomede. Il che sembra più semplice che non dover uccidere un’idra o uno stormo di uccelli carnivori. Se non fosse che Diomede era un re tirannico che aveva il vezzo di dare in pasto i suoi nemici alle sue quattro cavalle, pazze e sputafuoco. A quanto pare nell’antica Grecia non si trovava un solo animale che fosse normale!
Come rubare le cavalle pazze e sputafuoco di Diomede: la soluzione di Ercole

A prima vista poteva sembrare che re Euristeo avesse dato a Ercole una semplice missione di furto: l’eroe doveva andare nelle terre selvagge della Tracia e rubare le cavalle di Diomede. Il che voleva dire andare dall’altra parte delle terre conosciute, sopravvivere a queste terre selvagge, evitare l’ira di Diomede e dei suoi guerrieri, superare in astuzia un intero regno e rubare delle cavalle pazze, sputafuoco e mangiauomini.
Euristeo diede a Ercole solo qualche informazione parziale. Gli disse dove si trovavano, quanti erano e quanto fossero veloci. Omise solo qualche dettagliuccio secondario, come il fatto che erano folli, che per placarle era necessario dare loro carne umana e che sputavano fuoco. Quindi Ercole intraprese il suo viaggio verso nord alquanto ignaro di quanto lo aspettava.
Ma chi era Diomede? Era il re dei Bistoni, popolo tracio che viveva lungo le coste del Mar Nero. Figlio di Ares, dio della guerra (il che spiega il suo caratteraccio) e di una principessa mortale di nome Cirene, ecco che era un re sadico, temuto e odiato dai sudditi. Chiunque gli si opponesse veniva trascinato a Tirida, la sua capitale e dato in pasto alle cavalle.
Non si sa perché questi cavalli fossero pazzi e sputassero fuoco. Qualcuno sostiene che fossero un dono di Ares, altri che fossero pazzi proprio perché nutriti con carne umana. Sappiamo però i nomi dei cavalli:
- Podargo (Veloce)
- Lampon (Splendente)
- Xanthos (Giallo)
- Deinos (Terribile)
Il nome era tutto un programma. Fra l’altro le cavalle erano enormi, avevano il manto bianco e la criniera gialla e marrone. Velocissime, Diomede le usava per tirare il suo carro. Per riuscire a controllarle, Diomede le legava con pesanti catene di ferra a una mangiatoia di bronzo. E si calmavano solo dopo aver mangiato carne umana.
Visto che il viaggio a nord richiedeva parecchio tempo, ecco che durante il percorso Ercole colse l’occasione per fermarsi qua e là a casa di alcuni amici. Una di queste soste coinvolse Admeto e Alcesti, re e regina di Fere, nella Tessaglia.
Ercole arrivò a Fere in un brutto momento: tutta la città era in lutto. E la causa era collegata ad Asclepio. Costui era figlio di Apollo e di una donna mortale, Coronide. Apollo lo fece crescere insieme a Chirone, il leggendario centauro maestro di eroi. Asclepio divenne così un famoso medico e chirurgo.
Un giorno Asclepio strinse amicizia con un serpente che gli pulì le orecchie. Da quel momento Asclepio ottenne la conoscenza per creare nuovi metodi per curare i malati e i moribondi. Pensate che, sfruttando il sangue di Medusa, una Gorgone (fu Atena a dargli il sangue), creò una medicina capace di curare tutti i mali e anche di riportare in vita i morti.

Questa medicina miracolosa, però, per ovvi motivi non garbava ad Ade, il signore degli Inferi. Secondo lui crea squilibrio fra la vita e la morte. Zeus si dichiarò d’accordo con Ade, anche perché non gradiva il fatto che un semplice mortale, seppure un semidio, avesse un tale potere. Così Zeus risolse il problema a modo suo, ovvero colpendo Asclepio con un fulmine.
Apollo si infuriò per l’accaduto: Asclepio era il suo figlio prediletto ed era stato ucciso solo perché voleva aiutare il mondo. Non potendo ovviamente vendicarsi di Zeus, ecco che Apollo decise di uccidere Bronte, Sterope e Arge, i tre Ciclopi che avevano creato i fulmini di Zeus.
Il re degli dei, però, non lasciò correre tale atto di insubordinazione e bandì Apollo dall’Olimpo, condannandolo a servire come pastore il re mortale Admeto per diversi anni (uno o nove, il numero varia a seconda della versione della storia).
In realtà fu un esilio alquanto piacevole per Apollo. Admeto era giovane e di buon cuore, la sua ospitalità era rinomata ovunque e Apollo scoprì di andare molto d’accordo col re. Anzi, parecchio, visto che diventarono anche amanti. Apollo, poi, fece in modo che tutti i bovini di Admeto partorissero gemelli, in modo da aumentare le sue mandrie e ricchezze.
Finito l’esilio, Apollo tornò all’Olimpo, ma rimase amico di Admeto. Fu il dio a trovargli moglie, la bellissima Alcesti, figlia di re Pella di Iolco. Come di consueto in questi casi, per ottenere la mano della principessa, il padre indisse una gara. Chi fosse riuscito ad attaccare con successo al carro un cinghiale e un leone avrebbe sposato la figlia. Con l’aiuto di Apollo, Admeto vinse a mani basse.
Tuttavia Apollo era crucciato: il suo adorato Admeto sarebbe inevitabilmente morto. Così strinse un patto con le Moire, ingannandole dopo averle fatte ubriacare. In pratica le Moire avrebbero reso Admeto immortale, a patto che un altro mortale scegliesse di morire volontariamente al suo posto. Admeto provò a cercare un volontario, ma neanche a dirlo, questi latitavano.
Fu la moglie Alcesti a sacrificarsi per lui. Pur amandola, Admeto era ora ossessionato dall’idea dell’immortalità e acconsentì. Solo dopo la morte dell’amata moglie si rese conto di quanto l’amasse e che una vita senza di lei non valeva nulla. Ed Ercole arrivò in città proprio subito dopo la morte di Alcesti.
Inizialmente Admeto accolse Ercole con il suo solito benvenuto, ma l’eroe capì ben presto che c’era qualcosa che non andava: l’atmosfera luttuosa era lì davanti a lui. Così, saputo della morte di Alcesti, Ercole si dispiacque di aver disturbato il suo amico in un momento simile e decise di andare negli Inferi per salvare Alcesti.
Entrato nella tomba della donna, Ercole incontrò subito Thanatos, il dio incarnazione della morte. Il dio stava per scortare l’anima di Alcesti negli Inferi. Così Ercole iniziò a lottare contro di lui, chiedendogli di liberare la donna.
Nel frattempo Admeto si era ritirato nelle sue stanze: non voleva vedere nessuno, neanche Ercole. Era un buon amico, ma era troppo allegro ed energico per lui in quel momento. Immaginate il suo stupore quando, di malavoglia, andò ad aprire la porta al suo amico che stava bussando insistentemente e vide accanto ad Ercole la rediviva moglie Alcesti.
Ercole aveva vinto contro la Morte. Così, fra saluti e lacrime di gioia, ripartì per la Tracia. Durante il viaggio Ercole divenne amico di Abdero, figlio di Ermes. Anzi, i due divennero amanti e Abdero, in quanto figlio del dio dei ladri, si offrì subito di aiutare Ercole a rubare le cavalle.

Ercole aveva già elaborato un piano: mettere al sicuro le cavalle, portarle fuori dal palazzo e sconfiggere tutti i Traci che si fossero messi in mezzo. Non si può dire che il piano non fosse l’apoteosi della semplicità.
In effetti Ercole riuscì nel suo piano. Grazie all’aiuto di Abdero li portò verso la costa. Solo che Diomede si accorse del furto e mobilità il suo esercito per cercare i ladri. Ercole, non sapendo ancora quanto fossero violente le cavalle, le affidò ad Abdero, mentre lui andava a sconfiggere l’esercito.
Dopo tutti i mostri che aveva affrontato (in fin dei conti aveva ucciso il Leone di Nemea e l’Idra di Lerna, aveva catturato la Cerva di Cerinea e il Cinghiale di Erimanto, aveva pulito le Stalle di Augia, aveva ucciso gli uccelli del lago Stinfalo e aveva catturato il Toro di Creta), per l’eroe fu uno scherzo da ragazzi sconfiggere l’esercito e catturare vivo Diomede. Ricordiamo, però, che Ercole non sapeva neanche che le cavalle sputassero fuoco. Così, mentre Ercole era impegnato con l’esercito ecco che le inferocite cavalle sputarono fuoco e fiamme, arrostendo Abdero e sbranandolo.
Ercole tornò così verso la costa e trovò ciò che restava del suo amico. Infuriato, diede Diomede in pasto alle cavalle, per vendicarsi della morte di Abdero. Curiosamente, dopo aver mangiato Diomede, la follia sparì per sempre dalle cavalle. La cura per la loro pazzia era sempre stata la carne del loro perfido padrone.
Dopo aver seppellito Abdero e aver fondato una città in suo onore chiamata Abdera, ecco che Ercole aggiogò le cavalle ormai tranquille a un carro, portandole da Euristeo. Non si sa bene cosa ne fece. Una versione della storia sostiene che le diede a Era, la quale le fece accoppiare con i suoi purosangue. E uno dei discendenti di queste cavalle sarebbe stato niente meno che Bucefalo, il cavallo di Alessandro Magno.
Altre versioni raccontano che Euristeo le liberò per Argo e in un’altra che il re le mandò sull’Olimpo per sacrificarle a Zeus. Solo che questi le rifiutò e spedì orsi, lupi e leoni a ucciderle.
Intanto Ercole aspettava istruzioni dal re, ma con sua grande sorpresa questa volta fu la figlia di Euristeo a commissionargli la nuova impresa: la nona delle dodici Fatiche di Ercole sarebbe stato prendere la cintura di Ippolita, la regina delle Amazzoni.