Uno studio pubblicato sulla rivista Cell ha rivelato che una variante genetica del DNA umano che aiuta le persone a proteggersi dall’infezione da HIV è derivata proprio dal corredo genetico vichingo. Simon Rasmussen, coautore senior dello studio ed esperto di Bioinformatica presso l’Università di Copenaghen ha spiegato che tale variante si è originata in un individuo vissuto in una zona vicina al Mar Nero fra 6.700 e 9.000 anni fa.
Protezione dall’HIV e DNA vichingo: la combo che non ti aspetti

La mutazione genetica in questione è nota come CCR5 delta 32. La CCR5 è una proteina presente soprattutto nelle cellule immunitarie che molti ceppi di HIV (anche se non tutti) sfruttano per entrare nelle cellule e scatenare poi l’infezione. Tuttavia nelle persone con due copie di questa mutazione, la proteina è disattivata. Quindi il virus non riesce a entrare nelle cellule.
I ricercatori hanno scoperto che tale variante genetica interessa dal 10 al 16% dei geni CCR5 presenti nelle popolazioni europee. Finora, però, non si sapeva dove e quando fosse nata tale mutazione. Questo anche perché non è facile studiare i genomi antichi che, spesso, sono rovinati o frammentati.

In questo nuovo studio i ricercatori hanno prima identificato la mutazione in 2.504 genomi, poi hanno creato un apposito modello per effettuare la ricerca in 934 genomi antichi provenienti da varie zone dell’Eurasia. E tali genomi andavano dal primo Mesolitico sino all’era Vichinga, quindi dall’8000 a.C. al 1000 d.C.
Analizzando tutti questi dati i ricercatori hanno scoperto che la prima mutazione del genere era presente in una persona con DNA vichingo vissuta vicino al Mar Morto intorno al 7000 a.C. Tale scoperta contraddice alcune vecchie ipotesi che volevano che tale mutazione fosse assai più recente.
Inoltre la prevalenza della mutazione letteralmente esplose fra 8mila e 2mila anni fa. Questo perché probabilmente aiutò le popolazioni che stavano abbandonando le steppe eurasiatiche per arrivare in Europa a sopravvivere a diversi virus. La proteina, infatti, quando non è attaccata dall’HIV, ha il compito di controllare il modo in cui le cellule immunitarie rispondo ai segnali lanciati dal sistema immunitario. Molto probabilmente, tende a dirigere le cellule immunitarie verso i siti di infiammazione.

Le persone con questa mutazione si dimostrarono più capaci di sopravvivere perché, paradossalmente, la mutazione “indeboliva” il sistema immunitario. Non si tratta necessariamente di un fattore negativo. All’epoca, infatti, queste popolazioni erano esposte a nuovi patogeni. Ma un sistema immunitario troppo aggressivo e allerta può diventare letale talvolta. Quando l’organismo deve affrontare nuovi germi, è necessario che la risposta immunitaria sia efficace e sufficiente a contrastare la minaccia. Tuttavia non deve essere troppo esuberante per non danneggiare l’organismo.