L’11 maggio 1891 mezzo mondo sembrò assistere alla ripetizione di una storia già vista. Erano passati solo dieci anni dall’attentato mortale ad Alessandro II Romanov, autocrate di tutte le Russie. Durante il viaggio orientale di suo nipote lo zarevic Nicola, una sciabola per poco non pose prematuramente fine alla sua vita. Questa è la storia dell’incidente di Ōtsu e di come a volte, se il destino ha in serbo per te una fine violenta, puoi cercare di evitarla quanto ti pare, ma alla fine essa ti coglierà, eccome se ti coglierà.

Il principe ereditario Nicola, che il mondo imparerà a conoscere con il suo nome imperiale di Nicola II, in quel 1891 era impegnato in un viaggio ufficiale che si sarebbe concluso alla fine di maggio nel porto di Vladivostok, dove in teoria avrebbe partecipato alle cerimonie per l’inizio della costruzione della Transiberiana. Prima di approdare nel porto orientale russo, lo zarevic, accompagnato dalla Flotta imperiale del Pacifico, avrebbe fatto scalo in Giappone (ultimo paese dell’itinerario orientale dopo aver visto Sri Lanka, Singapore e Cina). Le tappe della visita diplomatica erano state già concordate con il riformato governo nipponico: Kagoshima, poi Nagasaki, Kōbe ed infine la capitale imperiale, Kyoto.
Nell’arcipelago giapponese erano a dir poco entusiasti di poter ricevere la visita di un così prestigioso principe europeo. Non è che da quelle parti fossero abituati, anzi. Undici e dieci anni erano trascorsi rispettivamente dalla visita di Enrico di Prussia – fratello minore del kaiser Guglielmo II – e di due principi inglesi a bordo della HMS Bacchante. Poi, accogliere il futuro imperatore russo, ovvero uno degli uomini più potenti del mondo al vertice di un autorevole istituzione monarchica, significava davvero tanto per il giovane e restaurato Giappone.

Nelle principali città del Sol Levante, lo zarevic sembrò genuinamente interessato ad alcuni aspetti della cultura popolare. Un esempio su tutti: l’artigianato tradizionale. Addirittura si fece tatuare da un maestro di Nagasaki sul braccio destro. L’11 maggio 1891 (29 aprile per gli amanti del calendario giuliano) il principe Romanov con un seguito di 50 risciò si recò presso la città lacustre di Ōtsu (da cui “incidente di Ōtsu”). Mentre era di ritorno verso Kyoto, un poliziotto della scorta balzò davanti gli occhi dello zarevic. Si chiamava Tsuda Sanzō e con una sciabola sguainata pronta all’uso dimostrava di non avere buone intenzioni.
L’agente Tsuda Sanzō sferrò due sciabolate in direzione della testa del principe. Gli inflisse “solamente” un taglio di 9 centimetri, poiché la bombetta in qualche modo deviò il colpo. Il secondo tentativo andò a vuoto grazie al riflesso di Giorgio di Grecia, cugino dello zarevic, che con un fusto di bambù bloccò il nuovo fendente. A quel punto la guardia placcò Tsuda Sanzō, che nel frattempo cercò la fuga, e lo scortò altrove. Il primo rapporto medico recitò “Due profonde ferite alla testa; guarigione impossibile” ma non corrispose al vero. Oltre al taglio di 9 centimetri, il principe imperiale stava bene. Fu accolto per le prime cure nel Palazzo Imperiale di Kyoto, dove lo raggiunse un preoccupato imperatore Mutsuhito.

Il giorno dopo l’incidente di Ōtsu, il 12 maggio, Nicola espresse la volontà di voler affrontare il ricovero a bordo di una delle navi russe ancorate a Kōbe. L’imperatore Meiji, anche per evitare un rapidissimo deterioramento delle relazioni russo-nipponiche, fece nuovamente visita al principe di Casa Romanov su uno degli incrociatori della Flotta del Pacifico.
Il Giappone finì in un profondo stato di shock (come evidenziano diplomatici inglesi “esterni” alla vicenda). L’imperatore Meiji si scusò personalmente per l’attentato e ordinò che il Paese manifestasse nel modo più ossequioso possibile la propria solidarietà. Esponenti del governo giapponese inviarono circa 10.000 telegrammi agli ambasciatori russi, augurando una pronta guarigione allo zarevic. Una città nella prefettura di Yamagata proibì l’uso del nome “Tsuda” e del cognome “Sanzō”, sinonimi di infamia e disonore.

Clamoroso e al contempo macabro fu il gesto di una donna di nome Yuko Hatakeyama. Quest’ultima, tormentata dal fatto che la Russia avrebbe sfruttato il pretesto dell’attentato per dichiarare guerra al Giappone (ossessione che, sia chiaro, sfiorava anche i più alti dignitari del governo Meiji), decise di immolarsi per mostrare alle nazioni di tutto il mondo come il popolo giapponese non volesse altro che la pace. Si tagliò la gola con un rasoio di fronte alla Prefettura di Kyoto. La ventisettenne morì poco dopo in ospedale. I media giapponesi diffusero con orgoglio la notizia dell’atto suicida, definendo la donna “retsujo” (lett. “donna valorosa”).
Come ulteriore prova della mortificazione del Sol Levante, un giornale scrisse come l’11 maggio 1891 fosse avvenuto “l’evento più terribile della nostra storia antica e moderna”. I teatri chiusero. Negozi e mercati rimasero vuoti. Un tribunale condannò Tsuda Sanzō all’ergastolo: l’attentatore, di marcate convinzioni ultranazionaliste, non motivò la natura del suo comportamento. Morì di malattia nel settembre di quell’anno.

Alcuni storici (una minoranza a dire il vero) hanno speculato sull’accaduto. Essi ritengono che l’incidente di Ōtsu abbia profondamente alterato le opinioni di Nicola sul Giappone e i giapponesi. Opinioni che avranno poi un certo peso nel biennio 1904-05, in occasione della guerra russo-giapponese. Speculazioni, nulla più.