Storia Che Passione
Una vita da piantagrane, una vita da Benvenuto Cellini

Una vita da piantagrane, una vita da Benvenuto Cellini

Altro che rockstars, altro che poètes maudits, prima ancora di Caravaggio e Beethoven, fu un certo Benvenuto Cellini ad unire il più puro estro artistico alla più marcata vena turbolenta, fautrice di tante risse, talvolta sfociate in qualcosa di più violento e tragico. Irrequieto come pochi altri, litigioso per sua natura, egli declinava buona parte del suo tempo in alcol e scelleratezza. Nei cuori pulsanti dell’Italia rinascimentale, tra scalpelli e pugnali, tra sculture immortali e bordelli, si mosse un uomo che pareva forgiato nel fuoco. Quell’uomo fu scultore, orafo, musicista, scrittore, emblema del manierismo; ma fu anche assassino, sodomita, un irrefrenabile ribelle. La vita dell’artista Cellini così come quella dell’uomo Benvenuto grondò di eccessi, e nell’eccesso si consumò. Mi piacerebbe raccontarvela, così come si raccontano le storie degli artisti maledetti.

Una vita da piantagrane, una vita da Benvenuto Cellini

Benvenuto nasce il 3 novembre 1500 in quel di Firenze, in una famiglia modesta ma dignitosa. Il padre, Giovanni d’Andrea di Cristofano Cellini, è un musicista, e come molti padri del tempo sogna per il figlio un futuro stabile e “onorevole” nell’arte della musica. Peccato che il piccolo Benvenuto – nome scelto per l’agognato figlio maschio dopo due fratelli morti – mostri sin da subito il carattere di chi non si lascia incasellare. A suonare il flauto, lo ammette lui stesso, «era valente assai», ma la considera «arte troppo vile a quello che io avevo in animo».

A quindici anni fugge metaforicamente (e presto anche fisicamente) dalle imposizioni paterne e si butta nell’arte orafa, dove l’intelligenza tecnica si amalgama ad un’indole iraconda e libertaria. Un anno dopo la prima vera rissa: con il fratello Cecchino assale un garzone. La situazione degenera perciò scattano i coltelli. Cecchino ferisce gravemente il bischero, la folla che si erge a testimone e giudice del misfatto, opta per la punizione esemplare. Per salvare il fratellino dal linciaggio pubblico, Cellini lo difende colpendo a casaccio. Avuta salva la vita, viene il tempo delle condanne: esilio a Siena, senza un quattrino ma con tanta, tantissima fame. È qui che Benvenuto Cellini inizia la gavetta, trasformando la fuga in apprendistato.

Benvenuto Cellini casa Firenze

Lo scontro di idee col buon padre permane, perché il nostro artista con i pugni pesanti vuole far tutto fuorché il musicista. Invece papà lo manda a Bologna proprio per dedicarsi agli strumenti e alle note. Inutile a dirsi, Benvenuto disattende ogni singola pretesa paterna. Nel farlo passa dal capoluogo emiliano a Pisa, poi ancora Firenze, quando gli strascichi della rissa avvenuta nel 1516 tra Porta San Gallo e Porta a Pinti sono oramai dissolti.

Alla conclamata vocazione per la rissa se ne affianca un’altra, che è quella per l’amore omosessuale. Non si può parlare dell’artista splendido che sarà senza affrontare con sincerità i suoi legami affettivi, profondamente fisici e sentimentali. Nella Città gigliata stringe un legame strettissimo con Francesco, un «gentil giovanetto di mia età», col quale condivide ogni ora del giorno e della notte. Benvenuto lo scrive senza alcun imbarazzo o filtro: «generò in noi un tanto amore, che mai né dì né notte stavamo l’uno senza l’altro». La passione per i giovanotti tornerà come un ritornello in tutta la sua vita, anche nei processi e nelle condanne.

Benvenuto Cellini targa casa

Dal 1519, anno della fuga romana, si ha contezza del suo manifesto della libertà. Roma significa distacco da ciò che è stato e ambizione per ciò che sarà. L’Urbe attira tanti come lui, poiché è la capitale rinascente dei papi, magnetica nelle sue fattezze, viziata per chi il vizio può e vuole permetterselo. Qui, Benvenuto inizia a frequentare la bottega del Firenzuola, salvo poi accasarsi in quella rivale. Il gesto suscita ovviamente malumori nel vecchio padrone, con cui litiga. Si è scritto qualche riga più sopra “manifesto della libertà” di Benvenuto Cellini perché per l’occasione egli disse: «Dissi ch’io era nato libero, e cosí libero mi volevo vivere […] e come lavorante libero volevo andare dove mi piaceva». Se c’è una frase che riassume l’intera esistenza di Benvenuto Cellini, è questa. Non arte per la gloria, non lavoro per la carriera, ma vita per l’ebrezza della libertà.

Libertà di vivere, bellissima eppure pericolosa se interpretata alla maniera di chi, come Cellini, non impiega che un attimo per tirar fuori il coltello così da risolvere situazioni fattesi incandescenti. Tornato a Firenze, ha un alterco con i Guasconti, stirpe di orafi, come lui. Insomma, dopo insulti, schiaffi e denunce, il pugnale di Benvenuto penetra il ventre di Gherardo Guasconti, causandone la morte. Accade che Benvenuto, ricercando protezione in un luogo santo, giunge a chiederla a Santa Maria Novella. Dalla basilica fiorentina organizza in qualche ora il ritorno a Roma. Siamo nel 1523, la città dei papi riaccoglie il sanguinario orafo, che però ha la fama di un maestro. Tutti bramano i servigi che offre e le opere che crea. Gioielli da fare gola a nobildonne e cardinali, cavalieri e persino vicari di Cristo!

Benvenuto Cellini statua

Per volontà del nuovo papa Medici, Clemente VII (1523-1534) lavora nella Santa Sede. Sfugge miracolosamente alla peste, non alla sifilide, contratta a suo dire dopo delle belle ore spese con una «servicella di tredici in quattordici». I medici lo curano a dovere e lui si rituffa nella vita che è abituato a vivere, quella tipicamente corsara di chi si sveglia piantagrane e s’addormenta, nelle ore piccole della notte, donnaiolo.

Quella Roma, ricordiamolo, centro dell’apoteosi artistica e della più blasfema tentazione, è la stessa città che fa inorridire Lutero e, anche per questo, si prepara alla distruzione. L’anno ce lo ricordiamo a memoria: è il 1527 e sulla strada per Roma s’incamminano i lanzichenecchi al soldo di Carlo V d’Asburgo. Gli stessi che ammazzano Giovanni dalle Bande Nere vogliono ora punire i vizi di Roma. Cellini non si limita a scolpire o cesellare, lui impugna il moschetto e difende Castel Sant’Angelo al fianco del papa Clemente VII. Il pontefice se lo ricorda e, quando la furia dei lanzi passa, perdona lo scultore fiorentino che nel frattempo aveva conficcato una lama sulla testa dell’assassino del fratello Cecchino.

Clemente VII nel 1534 s’ammala e muore, lo succede dietro la cattedra di San Pietro uno dei Farnese, probabilmente il più famoso di tutti: al secolo Alessandro Farnese, papa Paolo III. Con quest’ultimo – in realtà con i parenti più prossimi, ad esempio Pier Luigi Farnese – Cellini non va per niente d’accordo. Il tempo d’uccidere (per sbaglio, dice il fiorentino) un rivale mastro d’oreficeria e scappa per lo Stivale. Ancora Firenze, Ferrara, Venezia. Il richiamo di Roma è tale da farlo tornare: ad accoglierlo le guardie svizzere che lo arrestano e lo rinchiudono a Castel Sant’Angelo.

Benvenuto Cellini Perseo Medusa Firenze

Succede l’impensabile. Da artigiano si trasforma in Houdini. Accatta assi e lenzuola, crea corde, conquista la complicità del carceriere e una notte tenta l’evasione. Cade, si rompe una gamba, ma non molla. Striscia fino a casa di un cardinale, che fa finta di aiutarlo ma lo tradisce. Viene ripreso e incarcerato di nuovo. La cattività dura fino al 1539, quando per intercessione del porporato Ippolito d’Este ritrova la libertà.

Cambiare aria piace al Cellini che dunque prende la Francigena in direzione nord; l’ultima tappa è la corte reale di Francesco I, sovrano di Francia. Il periodo francese è denso di avvenimenti incredibili. Uno su tutti riguarda la sua serva di nome Caterina, per la quale crea uno scompiglio quasi senza precedenti. È una storia complessa fatta di gelosia, stupri, sentimenti tossici e intrighi di corte. Fatto sta che lascia la Francia e in Francia lascia una figlia. Ormai ha 45 anni ed è il tempo di essere maturi…

Benvenuto Cellini ritratto nascosto

Il duca (granduca dal 1569) Cosimo de’ Medici lo incarica dell’opera per la quale Benvenuto Cellini è universalmente ricordato, ovvero Perseo con la testa di Medusa. È la summa della sua arte e del suo spirito. Una statua colossale, sanguinaria, maestosa. Un Perseo bellissimo e cupo, che mostra il trofeo della morte con occhi malinconici. Un capolavoro cruento, che contiene dentro di sé tutto Cellini: rabbia, gloria, dolore, bellezza, e perfino il suo autoritratto, scolpito nell’elmo del Perseo, tra i riccioli. È il grido di chi ha vissuto troppo per essere dimenticato.

Vecchio e stanco, viene incarcerato ancora per sodomia. Questa volta non reagisce se non con mugugni e lamenti. Scrive sonetti feroci, poi si chiude a scrivere la sua Vita, tra il 1558 e il 1567. È una delle autobiografie più incredibili della letteratura. Muore a Firenze nel 1571, a 71 anni. Lascia dietro di sé non solo statue e gioielli, ma un’esistenza al limite, un’epopea degna di un eroe o di un criminale, a seconda dello sguardo.