Ci capita spessissimo di essere presi in giro perché sbagliamo a scrivere o perché magari pronunciamo erroneamente una parola. I nostri amici pare non aspettino altro, ed eccoli subito a puntare il dito. Nel Medioevo questi errorini erano tutt’altro che una cosa banale e faceta. Pensate che c’era addirittura un diavoletto apposito, uno di quelli fastidiosi che metteva le pulci nell’orecchio e faceva sbagliare le persone. Il suo nome? Chiaramente Titivillus.

Il primo a nominare il nostro simpatico amico è Johannes Galensis, un filosofo francescano del XIII secolo. Ma cosa faceva il nostro Titivillus secondo Giovanni del Galles? Il simpatico diavoletto stava appostato in un angolino e, durante le funzioni religiose, raccoglieva tutte le parole mal pronunciate, troncate o dette con accenti sbagliati. Perché? Per raccoglierle in un sacco e portarle all’inferno, aggiungendole alle colpe dei peccatori.
Ma l’oralità, soprattutto in questi secoli, andava di pari passo con la scrittura, e spesso passava in secondo piano. Il Medioevo è ricco infatti di copisti che per le loro intere vite non facevano altro che scrivere, scrivere e scrivere. Facile e molto comune era quindi anche sbagliare, chiaramente. Ed eccolo che rientra in gioco il diavoletto Titivillus…

Con un ruolo non del tutto nuovo, il diavolo distrattore diventava il patrono degli scribi e, soprattutto, dei loro errori. Da un lato era una comoda e pratica scusa per giustificare gli errori presenti nelle copie trascritte, dall’altro un modo per eliminare qualsiasi colpa dalla figura del copista. In molte rappresentazioni Titivillus appare infatti affacciato al banco scrittoio dello scriba, pronto a distrarlo quando meno se lo aspetta e a raccoglierne avidamente gli errori.
Tanto simpatico quanto dispettoso, il piccolo demone entrò anche nel mondo del teatro. Non solo nelle commedie, Titivillus era protagonista spesso anche nei drammi religiosi presentati nei teatri bassomedievali. Oltre che rappresentante valido della vanità umana, sempre aspirante alla perfezione e mai in grado neppure di tangerla, il diavolo rappresentava anche in questo ambito gli errori lessico-fonetici nelle pronunce delle parole.

Prezzemolo di ogni minestra, nel XV secolo troviamo il nostro protagonista anche in un trattato per una dama. Ne “Lo specchio di Nostra Signora“, Titivillus così si auto descrive: “Sono un povero diavolo, e il mio nome è Titivillus… Devo ogni giorno… portare al mio padrone un migliaio di borse piene di errori, e di negligenze nelle sillabe e nelle parole“. Povero diavolo che pena mi fai, avrebbe detto Cocciante. A noi però il demonietto Titi non sembra poi così cattivo e antipatico, anzi spesso era anche un validissimo capro espiatorio.