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Timone di Atene, misantropo per vocazione

Timone di Atene, l’uomo che diede alla misantropia un nuovo significato. Possiamo considerare Timone come un misantropo per lavoro e per vocazione. Ma chi era costui? E perché si lasciò alle spalle del tutto il genere umano?

La storia del misantropo Timone

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Crediti foto: @Johann Heinrich Ramberg, Wikimedia Commons

Secondo parecchi autori antichi, ad Atene nel V secolo a.C. c’era un uomo di nome Timone che, dopo aver perso del tutto la fiducia nel genere umano, si ritirò del tutto dalla vita pubblica. Anche Shakespeare fu affascinato dalla sua storia e ne trasse ispirazione per la sua opera teatrale “Vita di Timone di Atene”.

A parlarci di Timone sono autori celebri come Plutarco, Luciano, Aristofane e anche Cicerone, autore che causa notevoli incubi agli studenti dei licei durante i compiti in classe di latino. Comunque sia, chi era Timone?

Luciano sostiene che Timone fosse il figlio benestante di un uomo chiamato Echecratide. Persona assai credulona, si fidava dei suoi presunti amici, tanto da regalare loro denaro. Solo che quando finì i soldi, scoprì che questi cosiddetti amici erano stati interessati solamente alle sue ricchezze. Infatti uno dopo l’altro lo abbandonarono proprio quando aveva più bisogno di loro.

Per poter sopravvivere, Timone dovette iniziare a lavorare. Un giorno, però, la fortuna tornò a sorridergli. Infatti trovò una pentola d’oro, ritrovando così la ricchezza di un tempo. Subito i vecchi amici tornarono magicamente a palesarsi, sperando che il vecchio amico ricominciasse a elargire loro soldi come in passato.

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Crediti foto: @Schilderij van John Opie

Ma Timone aveva imparato la lezione: non volle più avere a che fare con questi amici approfittatori e li scacciò in malo modo, lanciandogli contro delle zolle di terra. Ma non si fermò qui: ormai nel suo animo regnava la totale sfiducia nei confronti del genere umano.

Iniziò così a rifiutare le persone, non fidandosi di nessuno. Aristofane sosteneva che c’era solo un uomo che Timone riusciva a stento a tollerare: Alcibiade. E lo tollerava non perché ammirasse questo generale e politico, ma solo perché era sicuro che un giorno costui avrebbe distrutto Atene.

La misantropia di Timone divenne sempre più profonda. Si narra anche che ad Atene ci fosse un albero al quale parecchi ateniesi si erano impiccati. Timone un giorno decise di progettare una nuova casa, ma per farlo avrebbe dovuto abbattere questo “albero dei suicidi”.

In via del tutto eccezionale, Timone decise di incontrare altre persone partecipando all’assemblea ateniese. Ma non pensiate che Timone si presentasse di fronte all’assemblea per chiedere il permesso di abbattere l’albero o per condividere orgogliosamente i suoi piano edilizi. Assolutamente no.

Da bravo misantropo quale era, Timone esortò gli ateniesi ad agire in fretta: avrebbe abbattuto presto il famigerato albero, dunque se gli ateniesi volevano continuare a impiccarvisi dovevano fare in fretta. Meglio impiccarsi oggi che domani, questo il suo motto.

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Crediti foto: @Gravure voor het toneelstuk van Shakespeare

Mentre immaginiamo la faccia F4 basita dell’assemblea dinanzi a queste parole, ecco che Timone, dopo questo exploit, decise di ritirarsi di nuovo in solitudine, evitando qualsiasi contatto col resto dell’umanità per il resto della sua vita. Anche quando si ammalò, rifiutò categoricamente di consultare un medico. E secondo Plutarco il suo epitaffio rimase memorabile: “Qui, strappato di trista vita il filo, giaccio. Il mio nome non saprete, e crepate, o maledetti, male”.

Nella versione di Shakespeare, invece, ci sono due epitaffi: “Timone, qui giaccio; in vita tutti gli uomini odiai; passa ed impreca pure, ma non sostare qui mai” e “Qui giace il misero corpo della grama anima sua ormai privato: non cercate il mio nome: codardi malvagi, che una pestilenza vi abbia consumato!”. Il manoscritto originale di Shakespeare li riporta entrambi, ma verosimilmente il poeta voleva usarne solo uno e si dimenticò di cancellare l’altro.