Storia Che Passione

Tientsin, la dimenticata colonia italiana in Cina

Quando si pensa al colonialismo italiano dell’Ottocento e del Novecento, subito vengono in mente i possedimenti africani. Tuttavia, l’Italia poteva contare sul suo posto al sole anche in Estremo Oriente. Un piccolo territorio all’interno della città cinese di Tientsin.

L’ottenimento di tale territorio avvenne in seguito al fallimento della cosiddetta “Rivolta dei Boxer“. Fra il 1899 e il 1901, la Cina settentrionale vide sprigionarsi una violenta ribellione contro la soffocante penetrazione occidentale. A condurre il movimento di protesta vi era la “Società di giustizia e concordia” , un’associazione dapprima segreta e poi appoggiata dal governo imperiale cinese. In Occidente tale organizzazione era conosciuta con l’appellativo di “boxer”, pugili, da cui deriva l’appellativo della rivolta.

A sedare la rivolta ci pensò una spedizione militare con truppe fornite da otto nazioni: USA, Gran Bretagna, Francia, Russia, Giappone, Austria-Ungheria e, appunto, Italia. La coalizione internazionale riuscì infine a sopprimere il movimento di protesta e ad imporre all’Impero Cinese ulteriori concessioni a loro favore, tra cui anche possedimenti coloniali. Al nostro Paese spettò dunque un’area nella città portuale di Tientsin, situata a ridosso del Mar Giallo. L’Italia prese ufficialmente possesso della concessione il 7 giugno 1902, con l’arrivo del primo governatore Cesare Poma.

Il possedimento italiano si ingrandì in seguito alla Grande Guerra, quando inglobò la zona concessa all’Austria-Ungheria. Ciò avvenne in seguito ad un braccio di ferro con il governo di Pechino, che l’aveva occupata nel corso del conflitto mondiale. Nel 1927, infine, l’Italia riuscì a spuntarla e il territorio amministrato da Roma raggiunse la superficie di 1,04 chilometri quadrati. Nel 1935 l’area italiana contava una popolazione di 6.000 residenti, di cui circa 110 erano italiani, a cui si aggiungevano le sedi commerciali italiane e una nutrito corpo militare italiano.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, i Giapponesi, che già avevano invaso la Cina nord-orientale, occuparono anche le concessioni straniere presenti, ma non quella italiana, in virtù dello status di alleati che legava Roma e Tokyo. Questo almeno fino al 1943, quando la deposizione di Mussolini e la firma dell’armistizio con gli Alleati indusse il Giappone ad occupare anche la zona italiana. Riconquistata dalle truppe cinesi nel 1945, fu ufficialmente soppressa e restituita alla Cina in virtù del trattato di pace di Parigi del 1947. Gli italiani presenti nell’area furono tutti rimpatriati. Terminava così l’esperienza coloniale dell’Italia in Cina, durata poco più di un quarantennio.