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Sì, anche i samurai utilizzavano armi da fuoco

Sì, anche i samurai utilizzavano armi da fuoco

Purtroppo in noi è insita una particolare idealizzazione della figura del samurai, esponente della casta guerriera per eccellenza. Chiedete a qualcuno di disegnare o descrivere velocemente un samurai, e sicuramente questo lo assocerà alla sua spada, la proverbiale katana. Non che sia un errore, ma nel XVI secolo erano più coloro che, servendo il loro signore in guerra in chissà quale angolo dell’arcipelago nipponico, impugnavano delle armi da fuoco rispetto a quelli che scendevano sul campo di battaglia muniti esclusivamente di spade e pugnali.

Sì, anche i samurai utilizzavano armi da fuoco

A partire dalla metà del XVI secolo, la comparsa delle armi da fuoco cambiò profondamente l’arte della guerra nel Sol Levante. Si aprì un capitolo in cui la tradizione e la modernità, la disciplina e la tecnologia, si trovarono a convivere e, talvolta, a scontrarsi. Di quel capitolo mi piacerebbe parlarvi quest’oggi, analizzandone i più disparati aspetti storici.

Tutto ebbe inizio nel 1543, quando una giunca cinese diretta a Okinawa fu costretta a cercare rifugio sull’isola giapponese di Tanegashima, a causa di una tempesta. A bordo c’erano anche alcuni mercanti portoghesi, tra cui, secondo la tradizione, Fernão Mendes Pinto. Essi portavano con sé una nuova e straordinaria arma: l’archibugio a miccia, il prodotto più avanzato dell’artiglieria leggera europea dell’epoca.

armi da fuoco nave portoghese

Il signore locale, Tanegashima Tokitaka (1528-1579), rimase profondamente colpito dal potere di quelle armi, capaci di abbattere un uomo con un solo colpo a distanza di decine di metri. Si trattava di un’innovazione che, in un mondo dominato ancora da spade, lance e archi, appariva quasi magica. Tokitaka acquistò due archibugi e li affidò al suo fabbro, Yaita Kinbei Kiyosada, perché li riproducesse. La meccanica dell’arma era tutto fuorché semplice. Per questo il fabbro non riuscì a forare a spirale il foro di accensione, passaggio essenziale per l’accensione della miccia. Solo l’anno successivo, grazie al ritorno dei portoghesi e all’arrivo di un armaiolo europeo, l’arcano smise di essere tale.

Nacque la versione giapponese dell’archibugio, chiamata tanegashima-teppō (種子島鉄砲, “canna di ferro di Tanegashima”). Ora, è giusto dire come i giapponesi non fossero del tutto estranei alle armi da fuoco. Già dal XIV secolo utilizzavano cannoni e schioppi di derivazione cinese, chiamati teppō, ma si trattava di strumenti rozzi e imprecisi. L’arma portoghese, invece, era di tutto un altro livello. Gli armaioli nipponici, noti per la loro abilità nel lavorare l’acciaio, si misero immediatamente all’opera per migliorarne la qualità, rendendola più adatta alle condizioni locali.

armi da fuoco primi archibugi Giappone

Nel giro di un decennio, la produzione esplose. Si stima che entro il 1553 in Giappone circolassero oltre 300.000 archibugi. Numeri senza senso. Le officine di Sakai, Omi e Kunitomo divennero i principali centri di produzione, mentre i daimyō (signori feudali) armarono non solo i loro samurai, ma anche una nuova fanteria di contadini-soldati, gli ashigaru, che costituivano la base dei nuovi eserciti feudali.

Il tanegashima non fu solo una nuova arma, ma un elemento che rivoluzionò la tattica militare giapponese. I daimyō più lungimiranti compresero subito che l’uso disciplinato di archibugieri in formazione poteva annientare anche la più coraggiosa carica di cavalleria.

Il più celebre tra loro fu Oda Nobunaga (1534-1582), uno dei tre grandi unificatori del Giappone. Nel 1575, Nobunaga affrontò le poderose cavallerie del clan Takeda con un’innovazione tattica. Oda si avvalse di un corpo di 3.000 archibugieri, che dispose dietro palizzate di legno, ordinando loro di sparare a turni alternati. Mentre una linea faceva fuoco, un’altra ricaricava e la terza si preparava a tirare, garantendo così un fuoco continuo e micidiale. Vi ricorda qualcosa? Non era tanto diversa dalla rivoluzionaria tattica militare svedese che mezzo secolo più tardi s’impose sui campi d’Europa.

armi da fuoco samurai impugnano fucili

Il risultato (in terra nipponica come nell’Europa centrale durante la guerra dei trent’anni) fu devastante. I samurai del clan Takeda, pur combattendo con grande valore, vennero falciati dalle scariche degli archibugi. La battaglia di Nagashino del 1575 segnò una svolta irreversibile nella storia militare del Giappone. Essa dimostrò che la potenza del fuoco poteva prevalere sul coraggio individuale e sulla spada (simboli stesso dell’etica samuraica).

Ecco appunto, quindi chiediamoci: come reagì la classe guerriera giapponese? Inizialmente, molti samurai guardarono con disprezzo alle armi da fuoco. Il combattimento corpo a corpo, fondato sull’onore e sull’abilità individuale, era considerato più nobile rispetto all’uccisione a distanza. Tuttavia, la logica del campo di battaglia del periodo Sengoku (1467-1603) era dominata dal pragmatismo. Tradotto: vincere significava sopravvivere, e il valore di un’arma si misurava nella sua efficacia.

Proprio per questo, accanto alle tradizionali scuole di scherma (kenjutsu) e tiro con l’arco (kyūjutsu), nacque anche una disciplina specifica per l’uso del fucile, chiamata hōjutsu. Si trattava di una vera e propria arte marziale del fuoco, che combinava tecniche di tiro, ricarica e movimento con i principi spirituali del bushidō. In altre parole, i giapponesi trasformarono anche l’arma occidentale in un percorso di disciplina interiore, unendo la tecnologia straniera alla propria etica guerriera.

armi da fuoco scontro giapponese

Con l’unificazione del paese e l’avvento dello shogunato Tokugawa (1603-1868), il Giappone entrò in un lungo periodo di pace, il periodo Edo. Le armi da fuoco, simbolo di caos e guerra civile, persero progressivamente la loro funzione pratica. Lo shogunato impose severe restrizioni alla produzione e al possesso dei tanegashima, temendo che potessero essere usati in rivolte o guerre private.

La casta dei samurai, ormai trasformata in una classe amministrativa, si rivolse nuovamente alle armi tradizionali che divennero simboli di status e moralità più che strumenti di guerra. Paradossalmente, fu proprio in quest’epoca di pace che nacque l’immagine idealizzata del samurai che conosciamo oggi. Solo con la Restaurazione Meiji (1868), e con la modernizzazione dell’esercito sul modello occidentale, le armi tradizionali cedettero definitivamente il passo ai fucili a retrocarica europei. Il tanegashima uscì così di scena, ma non dalla memoria.