Eris, dea della vendetta, gli faceva un baffo a papa Stefano VI. Se state cercando una delle persone più vendicative di sempre questo fu papa Stefano VI. Il quale era così rancoroso che finì col dissotterrare e processare il cadavere di un rivale per poter dire in faccia al morto tutto quello che pensava su di lui in quello che divenne poi noto come il Sinodo del Cadavere.
Papa Stefano VI, il rancore e il Sinodo del Cadavere

Non sono certo mancati altri pontefici vendicativi nella storia della Chiesa. In tempi antichi non era insolito trovare papi che tramavano contro i rivali o ne organizzavano l’assassinio. Ma papa Stefano VI ha portato il concetto di vendetta e rancore ben oltre ogni aspettativa, arrivando a far riesumare e processare il cadavere di un predecessore.
Ci troviamo nell’Alto Medioevo, La città di Roma del IX secolo è semideserta, con una popolazione stimata massima di 30mila abitanti. Reggono ancora i resti delle Mura Aureliane del 270 d.C. a proteggere l’abitato, ma ormai la maggior parte degli abitanti vive lungo il Tevere (qui possono ancora attingere acqua visto che gli acquedotti che rifornivano la città erano stati bloccati).
Veniamo ora al nostro papa Stefano VI. In realtà costui rimase sul soglio pontificio poco. Fu eletto papa nel maggio dell’896 e morì nell’agosto dell’897. Qualcuno potrebbe pensare che, con così poco tempo a disposizione, non abbia avuto il modo di fare qualcosa per rendersi celebre. Invece no: diede il via a uno degli episodi più controversi della storia papale.

Ma dobbiamo fare un passo indietro, per conoscere l’imputato defunto del Sinodo del Cadavere. Costui si chiamava Formoso ed era nato a Roma nell’816. Riuscì a diventare vescovo di Porto, il porto principale di Roma dell’epoca. Era l’864 e due anni dopo papa Niccolò I lo nominò legato pontificio e missionario presso le tribù pagane bulgare.
Fu così abile che i Bulgari chiesero a gran voce che fosse nominato loro vescovo. Cosa non fattibile per le leggi della Chiesa. Anzi: negli anni successivi i suoi avversari usarono contro di lui questa popolarità, sostenendo che avesse corrotto le menti dei Bulgari in modo tale che questi non avrebbero accettato nessun altro vescovo al suo posto.
Successivamente lo accusarono anche di aver cospirato per attentare all’autorità di papa Giovanni VIII (come se fosse una cosa insolita per l’epoca cospirare contro il papa in carica) e di aver rubato dei beni ecclesiastici. Insomma: i suoi rivali tanto fecero che riuscirono a fargli beccare una scomunica. Che durò però poco visto che, dopo la morte di papa Giovanni VIII nell’882, riprese il suo ruolo di vescovo di Porto. Ruolo che mantenne fino a quando, nell’891, non lo elessero papa.
E in tutto ciò Stefano cosa stava facendo? Beh, Stefano era nato nella famiglia regnante del ducato indipendente di Spoleto. Nell’891 papa Stefano V aveva incoronato sul malgrado Guido II, duca di Spoleto, come Sacro Romano Imperatore. In realtà, però, lui tifava per il re franco Arnolfo di Carinzia. E anche Formoso, nelle vesti di papa, preferiva Arnolfo a Guido.
Nell’892 Guido e Spoleto obbligarono papa Formoso a incoronare come co-imperatore Lamberto, il figlioletto minorenne di Guido. Già che c’erano, lo costrinsero anche a nominare vescovo il loro parente Stefano.
Formoso era alquanto risentito da tali imposizioni e così convinse Arnolfo a invadere l’Italia, liberandola così da quei fastidiosi Spoletini. Arnolfo ci riuscì e nell’894 iniziò con l’invadere e occupare l’Italia settentrionale. Nel frattempo Guido morì, lasciando il suo incerto regno nelle mani del figlio e della moglie. I quali non riuscirono a tenere testa ad Arnolfo. Quest’ultimo conquistò Roma nell’895.
Festante, Formoso abbandonò all’istante gli Spoletini e si precipitò a incoronare Arnolfo come Sacro Romano Imperatore nella basilica di San Pietro. Arnolfo, però, si godette poco le sue nuove vesti da imperatore. Mentre era all’opera per annientare gli Spoletini, morì a causa di un ictus. Seguito a ruota da Formoso che spirò nell’896.
A papa Formoso successe Bonifacio VI, che però quindici giorni dopo essere stato nominato pontefice, morì di gotta. Salì così al soglio pontificio Stefano VI, il quale non aveva ancora digerito l’offesa fatta da Formoso alla sua famiglia. Avrebbe voluto dirgliene quattro, ma non poteva: Formoso era morto.

Ma questo non lo fermò di certo, era un impedimento di poco conto. Ordinò che il cadavere ormai putrefatto di Formoso fosse riesumato. Poi lo fece trasportare al soglio pontificio dove, davanti al resto del clero, sottopose il cadavere del rivale a processo in quello che divenne noto come Sinodo del Cadavere.
Stefano VI condusse l’accusa contro Formoso, il cui cadavere alquanto puzzolente e in disfacimento stava appoggiato sul trono. Un diacono adolescente, opportunamente nascosto dietro al papa morto, si occupò della difesa.
In un processo che fu tanto macabro quanto farsesco, Stefano VI accusò Formoso di tutto: spergiuro, aver operato da vescovo quando era laico, violazione del diritto canonico e di essere indegno del pontificato. Stefano gridava le sue accuse contro il cadavere di Formoso, mentre il diacono nascosto, imitando la voce di Formoso, negava le accuse.
Nessuno si stupirà nello scoprire che il cadavere di Formoso perse la causa. Dichiarato colpevole, su di lui fu applicata la damnatio memoriae, pratica romana che consisteva nel cancellare dalla memoria storica l’imputato. Non pago, poi, Stefano VI ordinò che fossero amputate tre dita della mano destra di Formoso, quelle usate nelle consacrazioni. Poi fece gettare il corpo in una fossa comune.
Ma il suo desiderio di vendetta era lungi dall’essere soddisfatto. Ancora furioso per gli insulti alla sua famiglia e non pago di quanto fatto al rivale, fece di nuovo riesumare il cadavere di Formoso, ordinando che lo appesantissero con pietre per poi gettarlo nel Tevere.
Ah, inutile dire che il suo comportamento fece capire a tutti quanto fosse fuori di testa. Tanto che si scatenò una rivolta contro di lui. I ribelli lo catturarono, imprigionarono e strangolarono a morte.