Storia Che Passione
Saltare dal ponte di Brooklyn e morire per la scienza...

Saltare dal ponte di Brooklyn e morire per la scienza…

Solitamente gli insegnamenti si traggono alla fine di un racconto, ma per questa speciale occasione faremo un’eccezione: gettarsi dal ponte di Brooklyn, quindi farsi oltre trenta metri di caduta libera per dimostrare alla cittadinanza che non si muore durante il volo non è esattamente una buona idea. Certo, avete ragione, al massimo perderete i sensi, ma non la vita a causa del vuoto. Ciò che magari potrà recidere il vostro filo vitale sarà l’impatto con l’acqua. Quello sì che fa tutta la differenza di questo (e di quell’altro) mondo. Io lo so, voi lo sapete, Robert E. Odlum non era dello stesso avviso…

Saltare dal ponte di Brooklyn e morire per la scienza...

Robert Emmet Odlum, per tutti “Bob” è il protagonista, suo malgrado, di una delle storie più tragicomiche del XIX secolo. La sua fu una vicenda nata e sviluppatasi nel segno dell’ambizione, della voglia di mettersi in gioco e dimostrare, anche a costo della propria incolumità, che le cose vanno in una specifica direzione, seguono determinati schemi e logiche complesse, incomprensibili ai più se non attraverso la base del metodo scientifico, l’osservazione empirica.

Sull’osservazione empirica, anzi, sulla pratica diretta Bob Odlum costruì un’intera carriera. Nato a New York nel 1851 ma cresciuto in Tennessee, il nostro imparò prima a nuotare fra le pacate acque del Mississippi che a parlare. Bracciata dopo bracciata, il giovane Bob trasformò la passione in lavoro. Una breve esperienza giornalistica precedette il suo inizio di carriera in veste di istruttore di nuoto. Era il 1878 quando Odlum aprì la sua piscina a Washington D.C. con un intento fissato nella roccia: insegnare a tutti i volenterosi a nuotare, poiché il nuoto, almeno nella testa di Odlum, assomigliava più ad una facoltà vitale, utile per stare al mondo, più che ad una disciplina sportiva.

ponte di Brooklyn Bob Odlum

Bella la motivazione, grandiosa l’energia interiore dell’uomo, meno entusiasmante il “successo” dell’idea. Come dire… Beh, il natatorium fu un mezzo fiasco. Lo si sarà capito, ma ripeterlo male non fa: Bob era un uomo con una forte vocazione educativa. Insegnava nuoto anche alle donne (una rarità all’epoca) e promuoveva l’idea che gettarsi in acqua da grandi altezze non fosse necessariamente mortale, se fatto con la giusta tecnica. Questa sua “attitudine” lo spinse a voler sfatare ad ogni costo una specie di luogo comune molto popolare. Secondo il medesimo, una persona che fosse caduta da un’altezza considerevole, sarebbe morta prima dell’impatto a causa del vuoto d’aria venutosi a creare.

Una baggianata, per dirla alla francese, eppure qualcuno ci credeva davvero. L’istruttore Robert Emmet Odlum dimostrò in ben tre occasioni la natura falsa e menzognera di questa diceria. Saltò una prima volta il 4 luglio 1881, buttandosi da 27 metri dal ponte di legno di Occoquan Falls, Virginia settentrionale. La seconda occasione la ebbe nel giugno dell’anno dopo, momento in cui pensò bene di tuffarsi a 34 metri d’altezza dal molo di Marshall Hall, nel Maryland. Nonostante il violento impatto con l’acqua, ne uscì illeso.

La terza circostanza fu, ahinoi, tragica nel suo esito. Bob Odlum puntò il dito contro il ponte di Brooklyn, sormontante l’East River e che collega Manhattan, New York City e Brooklyn. Una meraviglia dell’ingegneria moderna, fiore all’occhiello degli Stati Uniti d’America, monumento alla potenza di una nazione in divenire. Tutti buoni motivi per i quali le autorità vietarono severamente che l’infrastruttura finisse al centro di spettacoli sensazionalistici. Spettacoli come quelli che un certo Odlum, istruttore di nuoto e stuntman, voleva inscenare.

ponte di Brooklyn lapide Odlum

Alle 17:35 del 19 maggio 1885 Odlum si presentò sul ponte di Brooklyn, aggirò i controlli e si lanciò da un’altezza di circa 40 metri. Tutto questo davanti a una folla di spettatori. Il tuffo non andò come previsto.Odlum entrò in acqua in posizione semi-sdraiata, sbagliando l’angolazione. Questo causò un impatto violento con la superficie dell’acqua – che, da quell’altezza, è dura quasi quanto il cemento. Non morì istantaneamente, ma subì gravi e soprattutto micidiali lesioni interne: secondo il referto medico, il fegato fu lacerato e le costole spezzate gli trafissero gli organi vitali. Spirò meno di un’ora dopo essere stato recuperato dall’acqua.

L’aria non gli fu fatale, quindi sì, in un certo senso ebbe ragione con il suo ultimo salto. Ma l’acqua, l’amore della sua vita, l’essenza di ogni singola azione pianificata e compiuta, quella sì che gli fu mortale. La salma di Robert Emmet Odlum, per tutti Bob, riposa al cimitero di Mount Olivet, nella capitale statunitense.