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Pitea di Massalia, il greco che sfiorò il circolo polare artico

Pitea di Massalia, il greco che sfiorò il circolo polare artico

Vi fu un tempo in cui la conoscenza geografica antica dell’ovest terminava con le colonne d’ercole. Certamente non tutti credevano alla fine del mondo oltre le stesse, così come è attestato che prima di Pitea – protagonista del racconto odierno – vi fu almeno un altro esploratore, il cartaginese Imilcone, a varcare lo stretto di Gibilterra per poi procedere in direzione nord-est. Eppure la figura di Pitea di Massalia rimane innegabilmente affascinante, perché in lui si condensano realtà e mito, scoperta e congettura, scienza e incredulità. Il suo viaggio, per il quale è passato alla storia, compiuto nel IV secolo a.C., rappresenta una delle prime e più ardite esplorazioni dell’Europa settentrionale. Sarebbe un peccato non dargli un’occhiata, vero?

Pitea di Massalia, il greco che sfiorò il circolo polare artico

Pitea era originario di Massalia (l’odierna Marsiglia), fiorente colonia greca fondata dai Focei. La città, crocevia di commerci tra Mediterraneo e mondo celtico, aveva rapporti regolari con i mercanti che dall’Atlantico portavano stagno, ambra e altre risorse preziose. È in questo contesto che Pitea, spinto dall’interesse scientifico e forse anche commerciale, intraprese il suo viaggio verso nord. Siamo intorno al 330 a.C., in piena età ellenistica. Mentre Alessandro Magno conquistava l’Asia, un greco di Marsiglia decideva di esplorare i confini opposti dell’ecumene, verso l’Oceano e il freddo boreale.

Il suo resoconto, Sull’Oceano (Περὶ τοῦ Ὠκεανοῦ), è andato perduto, ma frammenti e testimonianze ci sono giunti attraverso autori come Strabone, Diodoro Siculo, Plinio il Vecchio, ecc. Già questa trasmissione indiretta dice molto: Pitea fu letto, discusso, ma anche deriso, al punto che alcuni lo considerarono un visionario, o peggio, un ciarlatano. In realtà, molte delle sue descrizioni trovano riscontro nella realtà geografica e climatica, a conferma che il viaggio fu effettivamente compiuto. Lo sappiamo noi, ma in quell’epoca antica era molto più semplice diffidare, soprattutto dinnanzi a storie così estranee al concetto di ordinario.

Pitea Massalia Marsiglia

Il preciso itinerario del viaggio non lo si conosce. Dunque sono molti gli storici che hanno messo nero su bianco ipotesi e congetture sul tragitto. Alcune sono molto valide, poiché si basano sull’incrocio di dati scientifici e testimoniabili ancora oggi (correnti marine, venti correlati alle stagioni, climi e annotazioni geografiche riscontrabili). Quasi certamente il massaliota superò le colonne d’ercole via terra, su territorio iberico. Questo perché a quel tempo Cartagine deteneva l’assoluto controllo dello stretto fra il Mediterraneo e l’Atlantico; mai avrebbe permesso ad un greco di Massalia di attraversarlo indenne.

Risalita la penisola iberica, prese il mare, costeggiando la Francia e spingendosi oltre la Manica. Circumnavigò la Gran Bretagna e toccò le coste dell’Ibernia, l’Irlanda se preferite. Non sfugga l’importanza della questione, perché il navigatore greco fu il primo – stando alle fonti in nostro possesso – ad attuare una distinzione netta fra le più grandi isole dell’arcipelago britannico.

Pitea mare di gelatina

Pitea studiò le maree, intuendo la loro connessione con le fasi lunari. Osservò per la prima volta fenomeni naturali che per i Greci erano del tutto inediti: il sole di mezzanotte, osservato nelle alte latitudini. Le aurore boreali, interpretate come straordinari bagliori nel cielo notturno. La presenza di un mare ghiacciato, da lui definito poeticamente “mare di gelatina”, dove acqua, ghiaccio e nebbia sembravano confondersi in un’unica sostanza.

Celeberrima è la sua descrizione di Thule, un’isola situata a sei giorni di navigazione dal nord della Britannia. Qui, racconta Pitea, la notte durava solo poche ore e gli abitanti coltivavano cereali, producevano miele e bevande fermentate. Le ipotesi sull’identificazione di Thule sono state molte: Islanda, Norvegia, le Shetland o le Fær Øer. La sua descrizione del clima e della durata del giorno sembra tuttavia compatibile con regioni oltre il circolo polare artico.

Pitea itinerario probabile

Altro aspetto fondamentale fu la sua attenzione ai traffici e alle risorse. Visitò le miniere di stagno della Cornovaglia, cruciali per il Mediterraneo. Riportò notizie del commercio dell’ambra (da lui chiamata elektron) proveniente dalle coste baltiche, allora un bene rarissimo e prezioso.

Nonostante l’eccezionalità delle sue osservazioni, Pitea passò per un bugiardo. Molti dei suoi contemporanei, a partire da Strabone, lo accusarono di menzogne. Strabone, nel I secolo a.C., scriveva con sarcasmo che Pitea raccontava favole degne di teatro, mentre Polibio lo bollava come un impostore. Eppure, secoli dopo, Plinio il Vecchio – pur con tutte le riserve del caso, eh – ne riportava con serietà diverse notizie, segno che almeno parte della sua narrazione era ormai considerata affidabile.

Pitea commercio ambra

Il destino di Pitea fu quindi quello di essere un precursore inascoltato: un esploratore che aveva visto realtà troppo lontane e sconosciute perché i suoi contemporanei potessero comprenderle appieno. È interessante notare che le sue osservazioni sulle maree e sull’ambra trovarono conferma solo molto tempo dopo, restituendogli retroattivamente una sorta di riabilitazione scientifica.