Il 31 marzo 1969 non è una data come le altre in Spagna. In quel giorno il governo promulga un decreto legge, il 10/1969, il quale sancisce “la prescrizione di tutti i reati commessi prima del 1° aprile 1939”. È a tutti gli effetti un indulto. L’esplicita prescrizione di tutti quei reati commessi durante la guerra civile. La fine effettiva di ogni responsabilità penale derivante dal contesto bellico. Che senso può avere una simile norma giuridica, a maggior ragione se resa pubblica a trent’anni di distanza? La domanda, all’apparenza banale, cela una realtà storica a tratti assurda, per alcuni inconcepibile. Il decreto legge del 31 marzo 1969 parlava ad una specifica e minoritaria categoria di persone, le quali, pur di non cadere sotto i colpi della dittatura franchista, decisero di nascondersi. Chi per pochi anni, chi per decenni. In Spagna li chiamarono “topos“, ovvero “talpe“. Questa è la loro storia.

La vicenda plurima delle talpe si intreccia indissolubilmente con la storia della guerra civil, che ha per estremi cronologici il 17 luglio 1936 e il 1° aprile 1939. Col passare del tempo, l’esercito ribelle, ora sotto la guida del generale Francisco Franco, surclassò i repubblicani. Quando non venivano uccisi sul campo di battaglia, essi si ritiravano spesso e volentieri sulle alture che costellano la penisola iberica. Prendevano il nome di “huidos“, “fuggitivi”, gente che puntualmente si riorganizzava in gruppi di resistenza praticanti tattiche di guerriglia armata. Ma non tutti volevano e/o riuscivano a ritirarsi sui passi montani.
Altri, infatti, optarono per l’occultamento della propria persona. Los topos, già durante la guerra civile, e poi durante il regime fasc.sta del Caudillo, si nascosero in ogni sorta di luogo: capanni, fienili, cantine, soffitte, stanze segrete ricavate nei modi più fantasiosi. Una realtà dei fatti che durò anni, tantissimi anni.

Un lavoro degno di nota – e finora il più completo sulla questione storica – appartiene alla coppia formata da Manuel Leguineche e Jesús Torbado. Giornalista il primo, scrittore il secondo. Nel 1977, nel pieno della transizione democratica, pubblicarono una raccolta di 24 storie, ognuna delle quali inerente una talpa. Leggendo Los topos (questo il titolo dell’opera), si capisce immediatamente una cosa. Queste persone pur di sfuggire alla gloriosa crociata franchista sperimentarono una “vita da morti“, rinchiudendosi in spazi così angusti, se non altro privi di sbarre, trasformandoli de facto in prigioni.
Un altro elemento che si può cogliere riflettendo sulla loro vita da talpe è il seguente: sebbene ogni caso avesse le sue caratteristiche uniche, emersero alcuni tratti comuni, come il non essere accusati di “crimini violenti”. Poi la maggior parte non era membro di spicco di partiti o organizzazioni locali repubblicane. Alcuni addirittura non avevano proprio un’affiliazione politica, provenendo da zone rurali.
Il fenomeno delle talpe durante il franchismo non fu affatto gradito a tutto coloro che, resistendo attivamente, agivano in clandestinità in Spagna o per vie traverse altrove. Celebre è il caso dei guerriglieri Maquis. Essi dalla Francia giudicavano insulsi quelli che in al di là dei Pirenei sceglievano di nascondersi passivamente pur di non cadere tra le grinfie della dittatura.

Alcuni casi noti meritano quantomeno una menzione. Forse l’uomo che rimase nascosto più a lungo fu Protasio Montalvo. Socialista e sindacalista, nel quasi triennio di guerra, fu sindaco di Cercedilla, 57 km a nord di Madrid. Concluso il conflitto e ufficializzata la vittoria nazionalista, il quarantenne Protasio si nascose sotto una conigliera a pochi passi dalla sua casa. Sopravvisse solamente grazie alla complicità di alcuni conoscenti e al movimento dei conigli. Quest’ultimo, se frenetico e agitato, suggeriva l’arrivo dei falangisti o della Guardia Civil, forze impegnate in operazioni di rastrellamento.
Nel paesino di tremila anime si diffuse la notizia per cui l’ex sindaco socialista era fuggito all’estero, o comunque era morto nel tentativo. Invece Protasio cambiò sistemazione, optando per la più scontata di tutte: casa sua. Moglie e figli tennero il segreto e lui si nascose ogni volta che un visitatore varcava la soglia del portone. Col trascorrere degli anni si dimenticarono di lui, ma Protasio non si dimenticò della persecuzione franchista. Fu per lui un chiodo fisso, talmente tanto da non uscire allo scoperto neppure con l’entrata in vigore dell’indulto del ’69. Salvo qualche capatina all’ospedale intorno al 1975, mise piede fuori l’abitazione da uomo libero solo nel 1977. Trascorse 38 anni della sua vita in cattività.

Altro caso noto di cui vale la pena parlare è quello di Manuel Cortés Quero, anch’egli primo cittadino in tempo di guerra, ma dell’andalusa Mijas, città vera e propria situata nella provincia di Malaga. Manuel era un fervente membro del PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) e nel 1937, dopo aver compartecipato ad episodi di violenza contro i conservatori della città (in alcuni casi, solo per essere di destra o cattolici, ad onor del vero), imbracciò il fucile e andò a combattere nella zona di Almería, e poi a Valencia.
Visse la sconfitta della Seconda Repubblica e nel post guerra tornò da moglie e figli a Mijas, ma da latitante. Per due anni la sua “casa” fu un armadio murato e nascosto da un dipinto di San Giuseppe. Nel 1941 si trasferì nella soffitta di un’abitazione affittata dall’altra parte della strada. Vi rimase per altri 28 anni, notando il tempo scorrere lentamente, i figli sposarsi, una nipote morire di leucemia, il PSOE riorganizzarsi, la vita di paese progredire nella sua statica monotonia. Alla fine del marzo 1969, udendo il decreto legge 10/1969, uscì di casa per la prima volta. Camminò male con le scarpe, abituato com’era con le pantofole.

Si recò a Malaga per rifare i documenti d’identità e alla caserma della Guardia Civil, un tenente colonnello gli disse: «Es usted libre» («lei è libero»). Quelle tre parole posero formalmente fine ad una realtà paradossale, fatta di libertà nella prigionia, durata trent’anni.
Un film del 2019, regia tripartita di Aitor Arregi, Jon Garaño e Jose Mari Goenaga, e intitolato La trincea infinita, è ispirato alla storia di Manuel Cortés Quero. La sua visione mi ha fatto conoscere la storia delle talpe durante il franchismo. Consiglio caldamente la pellicola per meglio inquadrare un fenomeno tanto peculiare quanto drammatico.




