Un indovinello per rompere il ghiaccio: serve a convincere un’intera nazione che la guerra è giusta, che la democrazia può trasformarsi in dittatura con uno schiocco di dita, e che, in a pensarci bene, il cavallo bianco di Napoleone non è poi così bianco. Cos’è? Se avete risposto “Operazione Mockingbird“, beh, non vale perché l’avete letto nel titolo. Scherzi a parte, qui si parla di una delle più subdole operazioni statunitense atte al traviamento di un’intera nazione per scopi propagandistici. Il tutto contornato da una durata eccezionale e da una pervasività spaventosa.

Se c’è una cosa che il Novecento ci ha insegnato – e gli Stati Uniti d’America, in questo, sono stati grandi maestri – è che non servono necessariamente interi eserciti per influenzare e/o piegare le coscienze. Al contrario, si può risparmiare sui mezzi bellici per investire sulla potenza delle parole, delle immagini, o più concretamente sui media che quelle parole e quelle immagini contribuiscono a farle circolare. Insomma, avete capito dove sto andando a parare.
La vicenda, nella sua forma documentata, emerge solo negli anni ’70, quando la Commissione Church, un organismo del Senato statunitense istituito nel 1975 per indagare sugli abusi della CIA e dell’FBI (all’estero come in casa) scopre l’esistenza di un piano sistematico di infiltrazione sui mezzi di informazione americani da parte dei servizi segreti. Quelle indagini, nate per far luce su vicende come il rovesciamento del presidente cileno Salvador Allende, si imbatterono in una rete di rapporti segreti tra giornalisti, editori e la Central Intelligence Agency. Quest’ultima, nel corso di due decenni, anno in più, anno in meno, aveva trasformato parte del sistema comunicativo in un braccio operativo del potere.

La rivelazione trovò eco nel 1977 in un celebre articolo di Carl Bernstein – uno dei due giornalisti protagonisti del caso Watergate – pubblicato su Rolling Stone e intitolato The CIA and the Media. L’articolo portava alla luce un fatto sconcertante. Ovvero che il cuore pulsante della democrazia americana, la libera stampa, era stato manipolato dall’interno. E per qual motivo (citando Aldo, Giovanni e Giacomo)? Ovvio, per orientare opinioni, soffocare scandali e costruire un racconto del mondo conforme agli interessi della politica estera statunitense.
L’Operazione Mockingbird (il cui nome, ironicamente, richiama quello del mimo settentrionale, un uccello imitatore appunto) avrebbe coinvolto, secondo i rapporti della Commissione, centinaia di giornalisti. Tra questi, figure di rilievo come Arthur Hays Sulzberger del New York Times e Stewart Alsop del Time. Oltre 400 professionisti dell’informazione sarebbero stati “asset” della CIA, incaricati di diffondere notizie pilotate o di omettere fatti scomodi.

Tra i media coinvolti figuravano testate di enorme rilievo. Qualche nome: The Washington Post, CBS, Reuters, Newsweek, Life. Tutte mobilitate, direttamente o indirettamente, a sostegno della causa americana nella Guerra fredda. Secondo le stime riportate negli atti, l’Agenzia spendeva fino a un miliardo di dollari l’anno in operazioni di propaganda, finanziando film, articoli e campagne d’opinione. Persino la trasposizione cinematografica de La fattoria degli animali di George Orwell, capolavoro satirico del totalitarismo, sarebbe stata prodotta con il sostegno della CIA per diffondere una lettura anticomunista dell’opera.

Mockingbird era, in sostanza, una macchina della persuasione. L’obiettivo non era soltanto contrastare il comunismo, ma modellare la percezione stessa della realtà. Gli scandali che coinvolgevano l’America dell’atlantismo e del blocco occidentale andavano insabbiati. I nemici, invece, dipinti con tinte fosche. I personaggi scomodi, ridicolizzati o diffamati. In questo modo, la democrazia a stelle e strisce diveniva teatro di una delle più vaste operazioni di manipolazione cognitiva mai concepite. Sia chiaro questo aspetto: non era un bavaglio imposto con la forza, ma un controllo esercitato attraverso il consenso, costruendo una verità parallela che si insinuava nelle menti giorno dopo giorno, articolo dopo articolo.
L’origine dell’Operazione Mockingbird, secondo la giornalista investigativa Deborah Davis nel suo libro Katharine the Great: Katharine Graham and The Washington Post, risalirebbe addirittura alla fine degli anni ’40, quando la CIA era nota come Office of Strategic Services (OSS). Davis ipotizzò che l’operazione nacque in risposta alla fondazione dell’Organizzazione Internazionale dei Giornalisti, organismo con sede a Praga e ritenuto vicino al Cremlino. In tale contesto, l’OSS avrebbe deciso di creare una propria rete informativa “occidentale”, in grado di contrastare la propaganda sovietica sullo stesso terreno: quello dell’informazione. Da allora, l’Agenzia avrebbe progressivamente infiltrato redazioni, editori e agenzie di stampa, fino a costruire un sistema tentacolare di influenza mediatica durato oltre vent’anni.

Tra i protagonisti di questa rete spiccano figure enigmatiche. In primis Charles Douglas Jackson, abilissimo plasmatore delle percezioni collettive. Poi Phil Graham, potente editore del Washington Post e marito di Katharine Graham (sulla quale ha investigato la suddetta Deborah Davis). Non ultimo, Cord Meyer, alto dirigente della CIA, considerato uno dei cervelli dell’operazione e, secondo alcune teorie, legato agli eventi che portarono all’assassinio di John F. Kennedy. Tutti, in diversa misura, contribuirono alla creazione di un sistema in cui la linea tra informazione e propaganda divenne indistinguibile.
Il nome Mockingbird compare persino nei “Family Jewels“. Si tratta di una collezione di documenti interni alla CIA resa pubblica nel 2007, in cui si elencano le attività illegali condotte tra il 1959 e il 1973. Accanto a Mockingbird, figurano altre operazioni tristemente note come CHAOS, MERRIMAC e MKULTRA, accomunate da un unico principio: il controllo delle menti, delle idee, dei comportamenti. Di queste operazioni, se vogliamo ancor più tenebrose e deviate, parlerò nei prossimi articoli, promesso.

La realtà ultima dell’Operazione Mockingbird rimane ancora oggi avvolta da un velo di mistero. Vi sono storici e giornalisti che ne negano l’esistenza, definendola una costruzione paranoica figlia del clima del dopoguerra. Altri, invece, ritengono che l’operazione sia stata non solo reale, ma il modello originario di tutte le successive campagne di manipolazione mediatica condotte dalle intelligence moderne. Quel che è certo è che la sua leggenda riflette una verità più ampia. E nel nostro più recondito angolo mentale, già la conosciamo. L’informazione è la più potente delle armi. Non lascia ferite visibili, ma modifica la percezione del mondo, e quindi la realtà stessa.




