Fra il 1776 e il 1779 la penuria di cibo causò insofferenza e agitazione nelle libere colonie americane. Quando i malumori, accentuati dalla fame, sfociarono in aperte ribellioni, i primi a pagare furono alcuni grandi commercianti, imputati – il più delle volte con cognizione di causa – di manipolare il mercato dei beni più richiesti e di speculare appositamente sui prezzi. Particolarmente accese furono le insurrezioni nel Massachussetts, con le donne di Boston, East Hartford e Beverly capaci di mettere a soqquadro intere aziende pur di reclamare il loro diritto a mangiare senza doversi per forza svenare. La loro storia, spesso oscurata dagli eventi bellici che coinvolsero padri, mariti e figli, merita più di qualche sommario accenno.

Le donne di Boston, così come di tutti gli angoli delle colonie insorte contro il giogo inglese, si ritrovarono a gestire fattorie, attività commerciali, botteghe oltre che a case e famiglie. Non aiutava di certo la limitatezza del loro potere d’acquisto verso i beni d’importazione, poiché il conflitto aveva fermato gli scambi con le Indie Occidentali, prima garantiti dalla britannica West India Company. Infatti sia l’esercito di Sua maestà, che quello continentale, si ridussero a requisire cibo e bestiame per il sostentamento degli uomini.
Nella capitale del Commonwealth del Massachusetts, Boston per la cronaca, i tumulti per il cibo furono ben 14. La maggior parte dei quali avevano per obiettivo gli avidi mercanti. Abigail Adams, moglie di John Adams, dunque seconda firtst lady della storia statunitense, scrisse diversi resoconti su queste insurrezioni. Uno in particolare, rivolto al marito che in quel momento si trovava a Filadelfia, denunciava la bramosia di alcuni speculatori che nell’estate del 1777 scatenarono l’ira delle donne di Boston.

Un nome, un cognome e un mestiere: Thomas Boylston, rivenditore all’ingrosso di caffè e zucchero. Egli aveva deciso in quell’instabile estate del ’77 di tenere chiusi i magazzini così da far diminuire l’offerta, lievitare la domanda e giocare sul prezzo. Non ci vuole un genio per capire come si trattasse (e si tratti ancora oggi) di un grave reato. Così il 24 luglio del 1777 un’orda inferocita al femminile si recò nel magazzino di Boylston. Lo aggredì, pretendendo che applicasse un prezzo ragionevole alle sue merci.
Boylston a quanto pare era tutto fuorché sveglio, visto che alla richiesta rispose con un secco “no”. Abigail Adams scrisse: “Diverse donne, alcuni dicono un centinaio, altri di più, si radunarono con dei carretti da traino, marciarono verso il magazzino e chiesero le chiavi, che lui [Thomas Boylston] si rifiutò di consegnare. Una di loro lo afferrò per il collo e lo gettò per terra. Non trovando pietà, consegnò le chiavi. Così aprirono il magazzino, tirarono fuori il caffè, lo caricarono sui carri e se ne andarono”.

La signora Adams riportò alcune “voci”, difficili da confermare vista la carenza di fonti. Secondo le stesse, le signore insorte offrirono il tè e lo zucchero ai meno abbienti del North End, il più antico nucleo abitativo della città. Come si suol dire, tutto è bene quel che finisce bene…