Dulce bellum inexpertis, diceva Erasmo da Rotterdam. La guerra è dolce per chi non la sperimenta, potremmo tradurre senza biasimare minimamente il pensiero che c’è dietro. Ma se squarciamo il velo di Maia, se decidiamo di contemplare la guerra in tutte le sue sfaccettature, allora la nota più agre, più amara e dura da mandare giù viene fuori. Quanto accadde ad Abu Ghraib, in Iraq, ci ricorda che non sono solo i morti, i feriti e le devastazioni a fare la guerra, ma anche i prigionieri, specie se torturati e disumanizzati! Questa è la storia di uno scandalo in cui gli USA mostrarono un loro volto sempre ben celato, quello col ghigno maligno, quello più diabolico.

Senza dilungarci troppo sulla Guerra in Iraq, creiamo solo un po’ di contesto per calarci al meglio nella vicenda odierna. Operation Iraqi Freedom, la chiameranno alcuni, Seconda Guerra del Golfo altri. Per chi la visse però fu semplicemente un sanguinoso conflitto durato dal 20 marzo 2003 al 18 dicembre 2011. La coalizione internazionale a guida americana aveva un unico obiettivo: Saddam Hussein. Scalzato il precedente governo e impostone uno su delega governativa statunitense, il lavoro degli USA era finito, ma lasciò dietro di sé qualche ombra e anche qualche macchia di sangue difficile da mandare via.
Torniamo a noi dunque e arriviamo allo scandalo vero e proprio. Se oggi ne parliamo e se già 20 anni fa fece così tanto clamore, dobbiamo molta gratitudine a Joe Darby. Chi era costui? Joe è uno di quelli che in gergo giornalistico si definisce un whistleblower, uno spifferatore o allertatore civico che consegnò all’emittente televisiva statunitense CBS News un plico contenente le foto disumane che in parte abbiamo riportato nell’articolo odierno.

32 km a ovest di Baghdad, nella città di Abu Ghraib, c’era la struttura carceraria protagonista della triste storia odierna, controllata chiaramente dai militari americani. Parliamo di ben 115 ettari di terreno dove torture, abusi sessuali, sodomizzazioni e stupri furono all’ordine del giorno.
Su chi? Da parte di chi? Perché? Alle prime due domande abbiamo risposte precise, per l’ultima assolutamente no! Furono i soldati americani di stanza in Iraq a compiere tali nefandezze nei confronti dei prigionieri iracheni, umiliati al punto da essere disumanizzati. Nessuna funzione riabilitativa del carcere, ad Abu Ghraib non si imparava nulla se non la paura e il terrore, ben visibili negli occhi del prigioniero qui in basso, torturato con la tecnica del fear of the dogs.

Nelle foto si vedono persone nude portate al guinzaglio come si trattasse di cani, costrette ad assumere pose omoerotiche o medicate dopo che i cani americani non avevano risparmiato morsi feroci. La più crudele, forse, è l’immagine di apertura dove un prigioniero, collegato all’elettricità locale direttamente coi fili, non può muoversi né scendere dallo scalino su cui è posizionato perché altrimenti rimarrebbe fulminato. Immobile, con la testa incappucciata, costretto a posare per il riso e il masochismo di pochi soldati e anche alcuni agenti della CIA. Dulce bellum inexpertis dicevamo, e dopo questa storia ci viene da pensarlo più che mai!




