La storia ricorda Agha Muḥammad Khān Qājār (1742-1797) prevalentemente per tre motivi: fu il fondatore della dinastia Qājār, rovesciata da Reżā Pahlavī solamente nel 1925. Sotto di lui la Persia tornò alla stabilizzazione dopo decenni di lotte intestine e squilibri regionali. Terzo ed ultimo punto, lo scià era un eunuco, poiché un rivale politico lo castrò quando aveva solamente sei anni. Tuttavia c’è un altro elemento, distintivo dell’esistenza del monarca, che merita di essere raccontato e che dunque approfondiremo assieme quest’oggi. Sto parlando della sua morte, senz’altro ingloriosa e oltremodo beffarda.

Nella baraonda dei pretendenti al Trono del Pavone (esatto, proprio quel trono lì) nel 1794 prevalse Agha Muḥammad Khān Qājār, originario dell’antica regione della Partia (Iran nordorientale), capò di una potente tribù turco-azera. Agha Muḥammad sfoggiava una personalità niente male, si dice per via dell’evirazione subita da bambino. Cicatrice esistenziale che tuttavia ne influenzò sensibilmente il carattere, oltre che l’aspetto, rendendolo un uomo tanto ambizioso quanto vendicativo, tanto audace quanto intollerante.
Due anni dopo aver ottenuto il potere su quasi l’intera Persia, iniziò un processo di accentramento egemonico e di normalizzazione della situazione interna. Nel 1796, credendo di aver finalmente domato le forze antagoniste in Medio Oriente, Asia centrale e nel Caucaso (aveva da poco assoggettato il potentato cristiano di Georgia e massacrato la popolazione di Tbilisi), si autoproclamò Shahanshah, il Re dei Re.

Tutto lasciava presagire un lungo e prospero regno, magari anche glorioso per la Persia, che era tornata ai fasti vissuti durante i Safavidi, ma il destino colse in controtempo il nuovo Re dei Re. Ad un anno dalla solenne incoronazione avvenuta a Teheran, lo scià fu coinvolto in quello che apparentemente era una semplice grana di corte.
Ora, è bene fare la seguente specificazione: esistono due versioni della storia che si conclude con la fine del monarca. Una ha a che fare con un melone, il quale venne per metà consumato dallo scià e per metà conservato, con annesso ammonimento: chiunque avrebbe toccato anche solo una fetta del frutto, sarebbe incappato nell’ira mortale di Agha Muḥammad Khān Qājār. Indovinate un po’? Un servo mangiò il melone e per non morire il giorno dopo uccise il fondatore della dinastia mentre dormiva. Tuttavia è la seconda versione che deve interessarci in questa sede.

La fonte che ce ne parla è della metà del XIX secolo e prende il nome di Fars-Nama-ye Naseri (“Libro di Naseri sul Fars”), opera dello scrittore iraniano Hasan Fasa’i. Essa ci racconta come durante il soggiorno di Agha Muḥammad a Şuşa, fosse scoppiato un litigio fra due servi proprio al cospetto dello scià. Egli odiava tante cose, ma non tollerava minimamente la voce alta. Senza pensarci due volte, lo scià condannò a morte per decapitazione i due servi, rei di aver alzato fin troppo i toni. C’era un problema: il litigio e la conseguente sanzione ebbero luogo di venerdì sera, giorno sacro all’Islam. Da buon fedele musulmano quale Agha Muḥammad era, scelse di posticipare l’esecuzione al giorno dopo, sabato 17 giugno 1797.

I due servi non furono né incatenati, né allontanati dal padiglione reale. Anzi, dissero loro di portare avanti le ordinarie mansioni fino al momento della morte. Secondo voi cosa fecero questi due? In piena legge del contrappasso, uccisero il sovrano che odiava i rumori forti nel silenzio più assoluto, fedele compagno delle notti più quieti. Lo fecero avvalendosi di pugnali e coltelli. Finì in questo modo, abbastanza beffardo, il breve regno di Agha Muḥammad Khān Qājār. Suo nipote Fath ʿAli Shah Qajar ereditò il trono e lo mantenne molto più a lungo, fino al 1834. Ma questa, come si suol dire, è un’altra storia.