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Heinrich Heine e la sua profezia sul rogo dei libri nella Germania del 1933

Heinrich Heine e la sua profezia sul rogo dei libri nella Germania del 1933

Christian Johann Heinrich Heine (1797-1856), tra i più importanti poeti della sua generazione, punto di congiuntura fra il Romanticismo tedesco e la Junges Deutschland (Giovane Germania; scuola artistico-letteraria votata alla cultura liberale e democratica), una volta disse: «Là dove si bruciano i libri si finisce per bruciare anche gli uomini». Nella prima metà del XIX secolo sembrarono parole al vento. Un secolo dopo, nella Germania sotto il vessillo della croce uncinata, l’avvertimento acquisì un nuovo, angosciante, significato.

Heinrich Heine e la sua profezia sul rogo dei libri nella Germania del 1933

Il 10 maggio 1933, a pochi mesi dall’ascesa al potere del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori (NSDAP) e del suo esponente più in vista, l’imbianchino austriaco poi fattosi Führer, in 34 città della Germania si diedero alle fiamme decine di migliaia di libri. Pagine latrici di una conoscenza universale eppure sgradita, poiché secondo le nuove direttive del regime, redatte da autori corrotti dall’impurità giudaica, anti-tedesca, infine fuorviante. Era il giorno in cui si levarono al cielo del giovanissimo Terzo Reich i fumi anneriti dei Bücherverbrennungen, in italiano “roghi dei libri“.

Il nazionalsocialismo in quanto ideologia al governo stava già ponendo le fondamenta per la dittatura. Neppure con troppa pacatezza muoveva i primi passi verso i drammi degli anni successivi. Il cancelliere otteneva poteri speciali dal Parlamento (Ermächtigungsgesetz), segnando l’inizio vero e proprio del totalitarismo. A Dachau, vicino Monaco di Baviera, apriva i battenti il primo campo di concentramento, quasi in contemporanea con quello di Sachsenhausen. Prendeva altresì avvio il boicottaggio delle attività gestite da ebrei. Se vogliamo però, la genesi della vera “uccisione simbolica” perpetrata dall’ideologia nazionalsocialista nei confronti dei suoi acerrimi nemici, fu il rogo dei libri del maggio ’33.

Heinrich Heine rogo 1933

A promuoverlo fu soprattutto il Ministro della Propaganda, Joseph Goebbels. Mentre nella sola Berlino bruciavano oltre 25.000 testi, egli parlava ad una folla esultante col braccio teso verso l’alto, e dichiarava conclusa: «l’era dell’intellettualismo ebraico, perché il tedesco del futuro non sarà solo un uomo di cultura, ma anche un uomo di carattere. […] Perciò fate bene ad affidare alle fiamme, in quest’ora tarda, lo spirito malvagio del passato».

In questo senso le profetiche parole di Heinrich Heine assunsero un valore tragicamente conforme e attuale. Il calore delle fiamme avvolse le idee di esponenti letterari socialisti, da Karl Marx a Bertold Brecht, di autori stranieri come Ernest Hemingway, Jack London ed Helen Keller, giungendo agli oppositori politici ed ideologici del regime autoritario, vedasi Thomas Mann, Erich Kästner, Heinrich Mann e Ernst Gläser, e ovviamente gli intellettuali ebrei, da Einstein a Freud, passando per Franz Kafka, Arthur Schnitzler, Franz Werfel, Max Brod e Stefan Zweig. Tra loro c’era anche Heinrich Heine, colui che un secolo prima avvertì l’Europa e il mondo intero sui pericoli di una simile deriva.

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Perché eliminando quelle forme di pensiero critico e creatività, considerate degenerate, si eradicava l’anima degli uomini. Un processo distruttivo che avrebbe presto riguardato la sfera fisica e materiale, come purtroppo già sappiamo, oltre che quella intellettuale e astratta.