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Gli Zoroastriani in Iran: uno strumento del colonialismo britannico nel XX secolo

Gli Zoroastriani in Iran: uno strumento del colonialismo britannico nel XX secolo

All’inizio del Novecento, in un’India già attraversata da fermenti politici e culturali, la piccola ma influente comunità di zoroastriani – i Parsi – iniziò a interrogarsi sul proprio futuro e sul legame con la terra d’origine, l’antica Persia. La questione non era assolutamente nuova. Da decenni, le élite parsi di Bombay e di altre città indiane avevano sostenuto i correligionari iraniani, ridotti in condizioni di marginalità economica e sociale sotto la dinastia Qajar.

Gli Zoroastriani in Iran: uno strumento del colonialismo britannico nel XX secolo

Già a metà Ottocento, figure come Manekji Limji Hataria avevano promosso scuole, ospedali e associazioni locali (anjuman), sostenuti dalla generosità delle grandi famiglie parsi. Era un impegno filantropico che andava oltre la carità. Tutto ruotava sulla preservazione della memoria storica e religiosa. Sulla ricucitura dei fili di una diaspora antica, quella degli zoroastriani, appunto.

Ma nei primi anni del XX secolo questo slancio prese una piega nuova. Alcuni iniziarono a immaginare un passo ulteriore. Ora si trattava di fondare una vera e propria colonia parsi in Persia. L’idea fu rilanciata con vigore da Khan Bahadur Burjorjee Patel, ricco notabile residente a Quetta, che nel 1905 scrisse e fece propaganda attraverso le pagine del Rast Goftar, il giornale anglo-gujarati gestito dai Parsi. Il tono dei suoi articoli era quello di chi credeva in una missione. Quale? Semplice, dare alla comunità degli zoroastriani un insediamento stabile, un rifugio sicuro e, allo stesso tempo, un simbolo di ritorno alle origini. I più perspicaci fra voi avranno già colto qualche punto in comune con la Palestina ottomana. Sintomo di un sistematico modus operandi inglese.

Zoroastriani Maneckji Limji Hataria

Dietro la spinta idealistica, però, si nascondeva una realtà ben più complessa. La Persia, a quel tempo, era uno degli scacchieri centrali del cosiddetto Great Game, il Grande Gioco, la lunga competizione tra l’Impero britannico e la Russia zarista per l’influenza sull’Asia centrale. Ne parlammo in un vecchio ma articolato approfondimento (questo il link, se interessati)

Per Londra, la priorità assoluta era la sicurezza dell’India; per San Pietroburgo, l’obiettivo era consolidare il controllo sul Caucaso e spingersi sempre più a sud. Non a caso, nel 1907, i due imperi avrebbero addirittura formalizzato la spartizione delle rispettive sfere di influenza in Persia con la celebre Convenzione anglo-russa. In questo contesto, qualsiasi progetto di insediamento promosso da sudditi britannici, per quanto animato da motivazioni religiose e comunitarie, rischiava di essere letto come un tassello di penetrazione imperialista.

Zoroastriani mappa Iran inizio XX secolo

Ed è qui che la vicenda parsi si intreccia con la grande politica. Da un lato, i zoroastriani, specie le loro élite, avevano buoni rapporti con le autorità coloniali di Bombay. I britannici non ostacolavano le iniziative filantropiche, anzi le tolleravano e in qualche caso le agevolavano, perché non minacciavano direttamente gli equilibri regionali. Dall’altro, però, nessun governo britannico avrebbe potuto o voluto sostenere ufficialmente un insediamento che rischiava di irritare la Russia o di compromettere i rapporti con Teheran. Così, il sogno di Patel e dei suoi sostenitori rimase in una terra di mezzo. Insomma, apprezzato sul piano ideale, tollerato nelle sue manifestazioni culturali, ma privo di un vero appoggio politico e militare.

Zoroastriani simbolo religione

Anche la Russia osservava con sospetto. Una colonia parsi troppo vicina alla sua sfera d’influenza nel nord persiano sarebbe stata inevitabilmente percepita come una manovra britannica camuffata da iniziativa comunitaria. E per un impero che già guardava con preoccupazione alle mosse di Londra, qualsiasi segno di “nuovo insediamento” era una spina nel fianco.

Alla fine, dunque, la storia prese una piega più sobria. L’idea di una colonia autonoma non si tradusse in realtà, ma il fervore parsi continuò a produrre frutti concreti sul terreno. Ad esempio scuole, istituzioni locali, programmi educativi. Fattori che trasformarono la vita delle comunità zoroastriane di Yazd e Kerman. La forza della diaspora non stava tanto nella costruzione di un avamposto politico, quanto nella capacità di rafforzare legami culturali e religiosi, resistendo alle pressioni dei grandi imperi senza farsi schiacciare del tutto.

Zoroastriani Parsi in India

Così, in mezzo alle grandi strategie del Grande Gioco, la voce dei Parsis resta come un contrappunto singolare. Una comunità piccola per numeri, ma grande per ambizioni, che cercava di scrivere il proprio destino non solo tra Bombay e Calcutta, ma anche nelle polverose città dell’Iran dei Qajar.