Fotografia di anonimo, contea di Humboldt, California, USA, 1889. Tre montanari ed un barista sono i soggetti di questa suggestiva fotografia scattata all’interno del Seth Kinman’s Bar, un tipico saloon all’americana, come i tanti che siamo abituati a vedere nei film di produzione statunitense e non. Lo scatto, per quanto di semplice interpretazione, si presta ad una serie di riflessione che vorrei condividere qui con voi.

Il bianco e nero, i volti consumati dalla dura esistenza di frontiera, i trofei di caccia: sono tutti elementi che ci rimandano ad una scena di vita quotidiana nella California del tardo XIX secolo, una terra che a pieno diritto rientrò nella mitologia del Far West americano. Si può e si deve, almeno per un attimo, comprendere cosa davvero fosse a quel tempo quell’angolo di ovest americano.
Nel 1889 la California era da poco entrata nel suo quarto decennio come entità statuale federata degli Stati Uniti (lo era diventata nel 1850). Nella seconda metà del secolo aveva già vissuto trasformazioni radicali. Dopo la corsa all’oro (1848–1855), che aveva attirato migliaia di cercatori e avventurieri, la regione conobbe una rapida urbanizzazione. Si assisté altresì allo sviluppo delle infrastrutture ferroviarie e all’espansione dell’agricoltura così come dell’allevamento.

La contea di Humboldt, affacciata sull’Oceano Pacifico e coperta da vaste foreste di sequoie, si sviluppò principalmente attorno all’industria del legname, della caccia, della pesca e dell’allevamento. Terra di frontiera, appunto, caratterizzata da insediamenti sparsi, comunità isolate e una cultura profondamente intrecciata all’ambiente circostante. A dominare erano uomini spesso armati, autosufficienti, legati all’ideale della conquista e della sopravvivenza, in uno spazio dove la legge dello Stato arrivava solo parzialmente e dove il concetto di giustizia era di labile interpretazione.
I saloon erano i veri centri sociali di quell’America. A differenza delle nostre moderne osterie, il saloon non era solo un luogo dove si beveva. Era il cuore pulsante della comunità maschile, un luogo di incontro, di intrattenimento e di affari. All’interno dei saloon si giocava d’azzardo, si beveva whiskey (spesso di dubbia qualità), si contrattavano battute di caccia, si organizzavano spedizioni e si chiacchierava di politica, banditi, occasioni di lavoro o di investimento. Spesso vi si tenevano anche incontri sindacali o assemblee cittadine.
Il saloon poteva fungere anche da ufficio postale, da banca improvvisata, da hotel, da bordello o da sala da ballo nei momenti più festivi. In alcune aree della California e del Nevada, i saloon erano anche il luogo dove si concludevano accordi minerari o commerciali.

La fotografia ci offre il pretesto per dire questo, e molto altro ancora. Lo scatto è densissimo di elementi visivi. I quattro uomini posano in modo studiato, a metà tra il ritratto e la messa in scena. I loro abiti (cappelli a larga tesa, giacche pesanti, stivali da lavoro) rimandano immediatamente alla figura del montanaro: l’uomo dei boschi, abile cacciatore e conoscitore della natura selvaggia.
Gli oggetti che rientrano nel campo semantico della caccia sono ovunque. Pelli d’orso, corna di cervo, teschi, animali impagliati. La parete del Seth Kinman’s Bar è tappezzata di fucili, strumenti da caccia e fotografie, diventa un museo spontaneo del mondo selvaggio. Le bottiglie di liquore e gli orologi da parete completano il quadro di un luogo dove si mescolano tempo libero, brutalità, ritualità e memoria collettiva. Il selvaggio west in una foto, verrebbe da dire, anche se di selvaggio restava davvero poco in quell’ultimo scorcio ottocentesco.