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Foto del giorno: il cappuccio bianco che scatenò la Guerra Fredda

Foto del giorno: il cappuccio bianco che scatenò la Guerra Fredda

Fotografia dell’Associated Press, Ottawa, Ontario, Canada, 29 aprile 1954. Un uomo si sottopone ad un’intervista giornalistica alla sola condizione di poter indossare un cappuccio bianco, così da celare la sua reale identità. All’epoca dello scatto, l’opinione pubblica non conosceva nome e cognome del soggetto, ma nei decenni a venire sarebbe spuntato fuori, convincendo in tanti, anche fra storici e giornalisti, del suo ruolo preminente nell’avvento della Guerra Fredda.

Foto del giorno: il cappuccio bianco che scatenò la Guerra Fredda

Oggi il vero volto dell’uomo nascosto dal cappuccio bianco è arcinoto: si chiamava Igor Gouzenko ed era nato a Dmitrov, 65 km a nord di Mosca, nel 1919. Di origine ucraina, Igor studiò molto nella Russia sovietica e nei primi anni ’40 entrò nell’Accademia di ingegneria militare Valerian Kuybyshev. Qui lo addestrarono come crittografo. Si diplomò col grado di tenente e, inserito nel GRU (Direzione generale per le informazioni militari), operò per l’intelligence sovietica, in particolare si occupò della raccolta di informazione sensibili provenienti da Occidente.

Fu così che nel giugno 1943 Igor Gouzenko si trasferì con la sua famiglia a Ottawa, in Canada, presso l’ambasciata sovietica. La vita in Canada – stando alle sue stesse memorie – lo stregò a tal punto da convincerlo, a pochi giorni dal termine del conflitto, a defezionare e consegnare documenti contenenti informazioni classificate alle autorità canadesi. Si trattava di 109 carte, fra codici militari e carteggi decriptati. Era il 5 settembre 1945: il Canada, e con esso l’Occidente tutto, venne a conoscenza delle operazioni di spionaggio che l’Unione Sovietica stava conducendo in Nord America.

cappuccio bianco Igor Gouzenko

I primi ad allarmarsi furono chiaramente gli USA, gelosi del segreto atomico. Grazie alle informazioni che Gouzenko scambiò per la cittadinanza canadese, si venne a scoprire una rete di infiltrati “dormienti” (temporaneamente inattivi, fino a ordine contrario) che operavano soprattutto negli Stati Uniti d’America, ma anche nei paesi alleati. Con l’aiuto di questi agenti, Stalin voleva provare, tra le altre cose, a rompere il monopolio americano sull’arma nucleare. L’affaire Gouzenko è oggi considerato una delle scintille più grandi fra quelle capaci di dare vita alla Guerra Fredda.

Lo storico Jack Granatstein affermò che lo scandalo, di cui si venne subito a sapere (pur non rivelando i nominativi dei diretti interessati) fu “l’inizio della Guerra Fredda per l’opinione pubblica”. Sulla stessa onda, il giornalista Robert Fulford scrisse di “essere assolutamente certo che la Guerra Fredda sia iniziata a Ottawa”.

cappuccio bianco intervista AP

Ad oggi sappiamo con certezza cosa contenevano quei 109 documenti. Erano informazioni inerenti lo spionaggio sul progetto Manhattan; infiltrazioni nei ministeri canadesi e in ambienti scientifici britannici. In generale, prove tangibili che l’URSS stesse pianificando operazioni di intelligence anche in tempo di pace. La defezione causò un grande sconquasso. Le principali potenze del nascente Blocco Occidentale potenziarono gli apparati di intelligence e controspionaggio. Mentre attraverso i media si contribuì a rafforzare la percezione di una “minaccia comunista” globale.

Le ricadute per l’ex crittografo sovietico, ora disertore, furono veramente pesanti. Anzitutto i membri della sua famiglia (tranne una sorella, che pare si salvò) vennero perseguitati dalle autorità sovietiche. L’NKVD arrestò la madre di Gouzenko, che morì nel carcere della Lubjanka (sede dei servizi segreti sovietici, oggi russi). Anche il fratello maggiore finì dietro le sbarre a tempo indefinito. Stessa identica sorte per i parenti acquisiti dopo il matrimonio. Igor e la sua famiglia dovettero nascondersi per il resto della loro vita, cambiando spessissimo identità e luogo di residenza.

cappuccio bianco tomba

Igor Gouzenko – che scelse lo pseudonimo di George Brown – apparì in interviste e trasmissioni televisive. Lo fece pur mantenendo l’anonimato, garantito, ad esempio, da un cappuccio bianco e dalla voce distorta in post produzione. Esattamente come vedete nella fotografia, scattata durante l’intervista che il 29 aprile 1954 concesse all’AP.