Fotografia degli Archivi Nazionali dell’Australia, prigione di Wyndham, Australia Occidentale, 1902. Un gruppo di aborigeni australiani in catene, supervisionato da un uomo bianco (forse una guardia carceraria), sosta temporaneamente entro il perimetro della prigione di Wyndham. Purtroppo le circostanze dietro questa specifica fotografia non sono note. Tuttavia possiamo cogliere l’occasione e parlare della condizione dei popoli indigeni d’Australia nei primissimi anni dello scorso secolo. A giudicare da questa singola immagine, la riflessione non sarà felice.

Sulla sola base delle leggi adottate dalla Federazione Australiana a partire dal 1901 – norme di legge preesistenti, sia chiaro – è possibile inquadrare lo status giuridico (chiamarlo così è una sorta di eufemismo) degli aborigeni australiani in quel frangente. Ad esempio, l’autorità poteva sottoporre a fermo tutti quegli indigeni che avessero varcato un confine stabilito unilateralmente fra la “loro” terra e la terra dei bianchi. Solitamente questo confine era il perimetro di una città.
L’aborigeno che avesse bevuto alcolici o posseduto armi, poteva finire tranquillamente in carcere; ciò a seconda della legislazione dello Stato di riferimento e del momento storico preso in esame.

Per quanto riguarda la fotografia, i motivi dell’incatenamento degli aborigeni australiani potrebbero essere molteplici e talvolta differenti fra loro. Alcuni sostengono come si trattasse di una messinscena per scopi pubblicitari o turistici. Altri invece si soffermano sulla questione delle riserve istituite ad hoc per il contenimento delle popolazioni native d’Australia. Probabilmente la guardia carceraria di Wyndham stava per deportare il gruppo in una riserva vicina o in un campo di lavoro.
Siccome al male non sembra mai esserci limite, mi duole dire come esistesse al tempo una precisa e brutale regolamentazione per tutto ciò che riguardava il fermo (leggasi “incatenamento”) degli aborigeni. Ogni prigioniero portava un collare in ferro pesante circa 3 kg. Con questo dovevano compiere delle lunghe traversate in luoghi aridi, con acqua appositamente razionata, e con una temperatura esterna che gravitava attorno ai 40° centigradi.

Il prigioniero non camminava mai da solo: come minimo condivideva le catene con un’altra persona. Molto comuni erano le fila da dieci o più detenuti. Essi erano “autorizzati” a lavorare all’esterno delle recinzioni del carcere, ma solo per lavori stremanti legati alla costruzione di edifici o di infrastrutture. Malgrado la cattività, le diaboliche condizioni di vita, le privazioni e le vessazioni, in Australia non esisteva de iure la tratta degli schiavi.




