Almanacco dell’8 agosto, anno 1576: l’astronomo danese Tycho Brahe registra la posa della prima pietra dell’Uraniborg, il maestoso osservatorio astronomico fiore all’occhiello del Regno di Danimarca e Norvegia. Ultimo del suo genere in Europa edificato senza che il telescopio fosse l’elemento-fulcro della costruzione. L’8 agosto 1576 iniziò a prendere forma il sogno rinascimentale di Tycho Brahe, un sogno destinato a disgregarsi in un quarto di secolo.

Nel cuore dell’Øresund, tra le aree della Zelanda e della Scania (la prima danese, la seconda svedese, ma nel XVI secolo entrambe sotto il dominio danese), sorge un’isola chiamata Ven. Oggi non lo è più, ma nel Cinquecento era un luogo ameno, lontano dai fastidiosi tumulti politici. L’isola di Ven era destinata a divenire il teatro di una delle più straordinarie imprese scientifiche dell’epoca moderna: la realizzazione dell’Uraniborg. A desiderarla fortemente fu l’astronomo Tycho Brahe (1546–1601), che le fonti moderne in lingua italiana chiamano Ticone, figura centrale nello sviluppo dell’astronomia pre-telescopica.
Brahe fu un uomo al crocevia tra il mondo antico e quello moderno. Il suo pensiero spaziava tra l’innovativo e il tradizionalismo scientifico. Se da una parte confutò la teoria dell’immobilità delle stelle nel firmamento (osservando la comparsa di un corpo celeste nella costellazione di Cassiopea), dall’altra credette nel suo personale modello geocentrico, anche detto sistema ticonico. Quest’ultimo prevedeva la rotazione del sole attorno alla terra immobile, e la rotazione degli altri pianeti attorno al sole. A nulla servirono i richiami di Johannes Kepler – Giovanni Keplero se preferite – poiché Brahe rimase saldo nella sua idea.

Oltre ad ignorare il modello eliocentrico, cos’altro sappiamo dell’astronomo danese? Egli fu un aristocratico, protetto dal re Federico II di Danimarca. Dal sovrano ricevette nel 1576 l’isola di Ven in feudo, insieme a un cospicuo sostegno economico per costruirvi un osservatorio che fosse anche un centro di sapere. Nasceva così l’Uraniborg, “il castello di Urania”, musa dell’astronomia, uno dei primi osservatori moderni d’Europa, concepito come struttura permanente, interamente dedicata alla raccolta sistematica e precisa di dati astronomici.
La prima pietra dell’edificio fu posata proprio l’8 agosto 1576; l’ultima nel 1580. Non era solo un osservatorio, ma un vero tempio del sapere rinascimentale, progettato secondo principi geometrici, simbolici e pratici. La struttura era in mattoni rossi, dominata da due torri semicircolari (rispettivamente una biblioteca e una cucina) e articolata in stanze per astronomi ospiti, studenti, famigliari e persino membri della corte reale. I giardini che circondavano l’edificio erano ispirati all’ideale rinascimentale dell’armonia tra natura e sapere. Sbagliato credere fossero solo decorativi! I giardinieri li coltivavano così da raccogliere erbe medicinali utilizzate negli studi di Brahe in campo alchemico e medico.

Nonostante la mancanza di telescopi – Galileo scalpitava – Brahe sviluppò strumenti astronomici estremamente avanzati per l’epoca. Con questi riuscì a determinare le posizioni di oltre un migliaio di stelle con una precisione senza precedenti, di soli pochi minuti d’arco. Queste osservazioni meticolose, raccolte in anni di lavoro presso Uraniborg e successivamente nello Stjerneborg (l’osservatorio “gemello” costruito anni dopo) avrebbero rappresentato la base empirica fondamentale per la successiva riforma dell’astronomia operata da Kepler. Egli infatti sfruttò a dovere i suoi dati per formulare le leggi del moto planetario, picconando il sistema aristotelico-tolemaico. Come detto, innovativo e conservatore al contempo.

Dopo la morte del re Federico II, il nuovo sovrano, suo figlio Cristiano IV, non confermò i fondi a Brahe. Nel 1597, deluso e amareggiato, l’astronomo lasciò Ven per trasferirsi in quel di Praga, dal più accondiscendente Rodolfo II d’Asburgo (l’imperatore alchimista, ricordate?). Dopo la sua morte nel 1601, sia l’Uraniborg che lo Stjerneborg furono distrutti e saccheggiati dagli abitanti dell’isola, lasciando solo ruderi e ricordi.