Almanacco del 5 luglio, anno 1960: nel pieno dei disordini scoppiati a Licata, in provincia di Agrigento, muore il 24enne Vincenzo Napoli. Secondo la stampa italiana dell’epoca fu “il primo morto del governo Tambroni”. La brutta vicenda di Licata, malgrado sia poco esplorata da chi studia la storia repubblicana italiana, è invero significativa. Permette di comprendere il rapporto dialettico fra cittadini, Stato e forze dell’ordine nel delicato prospetto tra la fine degli anni ’50 l’ingresso nei turbolenti anni ’60.

Incandescente fu l’estate del 1960. Anche per il clima torrido che investì la penisola italiana, ma soprattutto per il vorticoso succedersi di fatti ed eventi a tema sociale e politico. Fatti ed eventi che, se intrecciati e analizzati nella loro complessità, conducono ad un quadro di enorme portata storica per il trascorso della nostra repubblica.
Alla fine di marzo il Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi aveva affidato l’incarico di formare un nuovo governo al democristiano Fernando Tambroni. Egli ottenne la fiducia in Parlamento il 4 aprile, grazie ai voti determinanti del Movimento Sociale Italiano (MSI). Fu il primo – e finora unico caso – in cui un partito d’estrema destra, erede della ventennale esperienza autoritaria in Italia, permise con i suoi voti il parto di un esecutivo centrista.
L’evento, considerato inaccettabile da larghissimi settori dell’opinione pubblica democratica e antifascista, diede il via a un’ondata di proteste, scioperi e manifestazioni, alcune delle quali represse nel sangue. È in questo clima di tensione crescente che maturano i fatti di Licata, un piccolo centro costiero siciliano, con una forte presenza operaia e una vivace tradizione antifascista.

A Licata, come in molte altre città italiane, si era indetto per il 5 luglio uno sciopero generale e una manifestazione pubblica in opposizione al governo Tambroni e alla legittimazione parlamentare offerta al MSI. La protesta era parte di una mobilitazione più ampia indetta dalla CGIL e sostenuta da partiti di sinistra e associazioni civiche. L’atmosfera nell’agrigentino era tesissima. Nei giorni precedenti, l’arrivo annunciato di esponenti del MSI e la visibilità di simboli neofascisti avevano esacerbato il malcontento popolare.
La mattina del 5 luglio, la manifestazione si svolse in un clima inizialmente ordinato. Si protestava contro tante cose; il fattore politico era secondario rispetto alla cronica assenza di acqua, essenziale per i campi. Infastidiva poi la lentezza della macchina statale per offrire i sussidi e i fondi vitali al mantenimento dell’amministrazione comunale. Non c’era pane e per questo molte persone scesero in piazza, appunto: chiedendo cibo. Capofila della manifestazione era il sindaco di Licata, un democristiano. Ad accompagnarlo lungo il tragitto del corteo esponenti dei sindacati, delle associazioni civiche, delle organizzazioni votate alla difesa dei diritti lavorativi. Questo per rimarcare quanto la politicizzazione dell’evento – che retroattivamente si fece, a destra come a sinistra – fosse in realtà marginale.

Dopo poco, la protesta del 5 luglio a Licata degenerò in scontri tra i manifestanti e le forze dell’ordine, in particolare con reparti di polizia e carabinieri inviati per contenere l’agitazione. Si dice – le fonti consultate riportano la notizia usando sempre il condizionale, cosa che farò anch’io in questa sede – come un ragazzino, non si sa bene perché, fosse preso di mira da un celerino nell’intento di malmenarlo. Vincenzo Napoli, esercente 24enne che manifestava contro le ingiustizie perpetrate sulla gente di Licata, apparentemente intervenne per difendere il giovanissimo dalle angherie dell’agente.
Fu in quel momento che, stando alle ricostruzioni giornalistiche, le forze dell’ordine aprirono il fuoco. Un morto e oltre venti feriti. Il deceduto rispondeva al nome di Vincenzo Napoli. La notizia della morte del 24enne si diffuse rapidamente in tutta la Sicilia e oltre, scatenando ondate di indignazione e portando alla proclamazione di nuovi scioperi.

A Licata, la rabbia fu immediata. La popolazione insorse simbolicamente, proclamando un lutto cittadino non ufficiale. Le autorità locali furono costrette ad adottare misure d’emergenza per evitare ulteriori escalation. Nei giorni seguenti, la camera ardente di Napoli divenne un punto di raccolta per centinaia di cittadini. Il suo funerale si trasformò in una manifestazione popolare e politica.
Il 7 luglio Pietro Ingrao, deputato comunista alla Camera, chiese conto al ministro degli Interni Giuseppe Spataro sui fatti di Licata. Segue un estratto dell’intervento: «A Licata vi è stato un morto. […] Vi sono stati i morti perché si è sparato. Voi siete tornati oggi a percorrere l’infausta, tragica strada delle sparatorie, delle uccisioni e del sangue. Le cose che si stanno verificando in Italia denotano un metodo indegno, che disonora il nostro paese e non può essere accettato in una nazione democratica, retta da una Costituzione che riconosce legittimo il comizio, la protesta di massa, la manifestazione di piazza, lo sciopero politico. Si tratta di un metodo indegno per un paese che ha realizzato le sue conquiste democratiche combattendo proprio contro l’autoritarismo. Quelle conquiste non sono soltanto nostre, ma anche vostre…».

«Onorevole Spataro – proseguì Ingrao – a Licata vi è stato un morto. Sa da chi era diretto il corteo di Licata? Da un sindaco democristiano. Ecco la realtà. I giornali governativi gridano contro questa unità che si è manifestata a Genova, a Roma e altrove. Ma vi siete posti mai il problema, vi siete mai domandati: come nasce questa unità che si sta sviluppando in un moto così impetuoso, per cui i comunisti, socialisti, socialdemocratici, oggi accantonano una serie di polemiche, di divergenze, o le superano, per ritrovarsi nella lotta, in quel modo come ci siamo ritrovati? Ecco la questione a cui bisogna rispondere…».
Concluse l’onorevole Ingrao: «Veda, onorevole Spataro: quella unità, vi piaccia o non vi piaccia, non è solo un’unità contro il passato, contro la riesumazione del passato, contro l’inserimento del Movimento Sociale Italiano nella maggioranza governativa che voi avete favorito. No, è qualcos’altro ancora: è l’unità per qualche cosa che monta e sta montando nel paese, ed è la volontà che la Costituzione del nostro paese non sia un pezzo di carta, ma cominci a diventare un a realtà».